Cronaca / Como città
Mercoledì 22 Settembre 2021
Lo show del killer di don Roberto
Si rifiuta di vedere il difensore
Domani al via il dibattimento in corte d’Assise per il delitto di don Malgesini - La chiave dell’intero dibattimento sarà la richiesta di una perizia psichiatrica sull’imputato
Il processo che si apre domani (giovedì 23 settembre) a Como, in corte d’Assise, per l’omicidio di don Roberto Malgesini rischia di essere il dibattimento più scontato della storia giudiziaria comasca. Perché si apre con delle certezze granitiche (di cui si dirà più avanti) che conducono a una sola conclusione: condanna all’ergastolo. E nonostante questo - o forse proprio per questo - l’imputato, Ridha Mahmoudi, reoconfesso dell’omicidio salvo poi dire che il sangue di don Roberto pesa (nella sua fantasiosa ricostruzione dell’accaduto) sulla coscienza di un ex prefetto comasco, non perde un’occasione per far parlare di sé. E così alla vigilia del processo che rischia di costargli il carcere a vita si prende il lusso di rifiutarsi di vedere il proprio avvocato difensore il quale, a dispetto dei tentativi del suo cliente di sabotare anche le poche speranze di abbozzare una linea difensiva accettabile, è pronto a fare la sua parte così come il ruolo prevede e gli impone.
Le certezze granitiche, si diceva. La prima: nessun dubbio sull’autore del delitto. Che a uccidere don Roberto, la mattina del 15 settembre dello scorso anno nello spiazzo di piazza San Rocco che ora porta il nome del prete, sia stato Ridha Mahmoudi non vi è alcun dubbio. Lo ha confessato lui, ci sono i video delle telecamere della viabilità di piazza San Rocco che lo confermano, è stato trovato il suo sangue sul luogo del delitto e lungo il tragitto verso i carabinieri dov’era andato a costituirsi (quasi a rivendicare il delitto), lo confermano i testimoni oculari. E granitico è pure il fatto che sia stato un delitto efferato contro una persona indifesa: don Roberto stava preparando le colazioni da distribuire ai senza tetto della città, conosceva Mahmoudi e gli aveva appena offerto aiuto per un asserito (inventato) problema con i denti, è stato aggredito senza pietà da un uomo che ha utilizzato un coltello acquistato mesi prima con cui ha infierito sulla sua vittima (si è fermato solo perché lui stesso si è tagliato mentre affondava i colpi mortali).
Così come granitica è la premeditazione del delitto: lo stesso Mahmoudi ha confessato che, da alcuni giorni, voleva uccidere qualcuno (il suo ex avvocato prima, don Roberto poi), ha avvicinato il prete già armato e attendendo solo il momento giusto per colpire con un’arma che aveva comprato a luglio.
Di fronte a questa mole di certezze granitiche, non vi è che una sola sentenza: il carcere a vita (e forse pure l’isolamento diurno, ovvero il massimo della pena possibile). Ma la difesa una carta da ce l’ha giocare - l’unica, tant’è vero che l’avvocato Davide Giudici non ha citato neppure un testimone - ed è quella dell’effettiva capacità mentale di Mahmoudi al momento del delitto. Su questo aspetto il pubblico ministero, Massimo Astori, chiamerà a testimoniare lo psichiatra Nicola Molteni che ha visitato l’omicida di don Roberto, ha studiato la sua storia clinica e ha concluso che non vi è traccia di patologie tali da spingere a una dichiarazione di incapacità e, quindi, di non punibilità. Ma la corte potrebbe anche decidere autonomamente di nominare un perito di parte, sul punto. Insomma, tutto il processo si gioca su questo punto. Sempre che Mahmoudi non riservi, domani, l’ennesimo macabro show.
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