Cronaca / Como città
Venerdì 06 Novembre 2020
Lockdown, così la città si spegne
«Stavolta temiamo di non riaprire»
Da oggi chiusi bar, ristoranti e alcuni negozi: «C’è tanto sconforto - dicono gli esercenti - La politica doveva fare altro»
Tristezza, rabbia, delusione. Per baristi, ristoratori e negozianti d’abbigliamento e calzature costretti a chiudere da oggi, la seconda serrata è molto più dura della prima. Se a marzo, di fronte a un virus sconosciuto arrivato all’improvviso, abbassare la serranda in attesa di tempi migliori sembrava l’unica cosa sensata da fare, ora prevale la frustrazione. Così, con le vie del centro storico piuttosto piene e con i comaschi alle prese con le ultime compere prima del “lockdown”, le domande dei commercianti sono tante. Si riuscirà a riaprire? Avendo avuto sei mesi a disposizione, la politica non poteva trovare soluzioni adeguate? Perché siamo ancora al punto di partenza?
«Non lo nascondo – spiega Antonella Barbieri, del negozio “A & B” – l’umore è a terra. Sono triste: vorrei capire a cosa possa servire questo sacrificio, se sia in grado davvero di risolvere la situazione. Spero non toccherà aprire a dicembre per poi però chiudere a gennaio a causa di un’altra ondata. Posso comprendere le restrizioni serali, ma forse dobbiamo provare a convivere, con tutti accorgimenti, con il virus. Perché non possiamo lavorare? Hanno imposto regole rigide e ci siamo messi a norma. Qui in negozio non ho mai avuto un caso di Covid. Perché devo fermarmi? Non sono un pericolo».
Sulla stessa linea Emanuela Panatti, di “Doppioblu”: «Nonostante le difficoltà abbiamo aperto a maggio, appena dopo il lockdown, confidando nella possibilità di ripresa. E, devo dire la verità, questi mesi sono andati davvero bene. Chiaro, in una condizione normale, il volume degli affari avrebbe potuto essere ancora più alto, ma comunque la prospettiva era positiva. Così, invece, è dura: si spera nel Natale». Anche in questo caso, non si comprende come mai non si possa continuare, visto che le regole ci sono e si evitano gli assembramenti: «Lasciamo stare lo scarso preavviso - continua – i clienti entravano sereni non si sono mai verificati comportamenti scorretti. Si potevano pensare a diverse soluzioni, magari un orario ridotto, turni diversi, vendere su prenotazione o una sorta di “asporto”. Invece nulla. Per me è fondamentale tutelare la salute, ma magari si potevano studiare modalità diverse». Parecchio arrabbiato (ed è un sentimento condiviso dai colleghi) è anche Filippo Butti, dell’omonimo negozio di scarpe: «Cosa significa chiudere ora? Ucciderci definitivamente. Abbiamo fatto parecchi sacrifici a marzo e aprile, abbiamo tenuto duro in questi mesi e ora ci chiudono, a novembre, un mese importantissimo per il fatturato grazie al “Black Friday”. Mi sento preso per i fondelli. Se al posto di spendere soldi per i banchi con le rotelle e i plexiglass in spiaggia, avessero obbligato tutti a portare la mascherina in agosto e avessero dato le multe per gli assembramenti, a quest’ora avremmo avuto meno problemi. Alla fine vinceremo e sconfiggeremo questo maledetto virus, però gli aiuti che ci stanno dando sono, di fatto, inutili». Per tutti, non è chiara la ragione per cui alcuni esercizi possono restare aperti e altri, invece, siano costretti a restare fermi.
Fra i bar, in città, c’è chi ha chiuso, ieri, ben prima dell’orario previsto. L’auspicio, di fronte alla porta del locale, è rivedersi a dicembre. Ma questo mese senza lavoro peserà molto. «Mi faccio coraggio – commenta Walter Trumino, del Caffè dei viaggiatori – ma sono a terra. Psicologicamente siamo preparati dalla volta precedente, ma non è facile. L’asporto? Non funziona, purtroppo. Poi, già con l’istituzione del coprifuoco, i clienti erano diminuiti». Proprio sull’asporto, i dubbi dei titolari dei locali sono tanti. «Ipotizziamo anche si riesca a fare cento caffè al giorno – spiega Marco Viganò, “La Quinta” – non riusciremmo nemmeno a pagare la corrente. Dal canto nostro, abbiamo parecchia tristezza e arrabbiatura. A marzo e aprile siamo sopravvissuti, a questo giro sarà dura. Noi di sicuro chiudiamo fino a domenica, poi vediamo. Purtroppo, anche in prospettiva, il lockdown funziona nel breve, ma poi i problemi si ripresentano punto e a capo. Forse la strada è provare a convivere col virus». Per Eugenio Posca, bar “Tre Caffè”, la politica doveva trovare una soluzione: «In questi mesi, al posto di fare polemiche e campagne elettorali, si dovevano unire tutti e trovare una soluzione. Il tempo c’era».
Ieri è stato l’ultimo giorno anche per il mercato lungo le mura in viale Cattaneo e viale Battisti. Nonostante la bella giornata di sole e una buona presenza di persone, lo scoramento è tanto. «Che dobbiamo fare? Provo a sorridere, anche se c’è tristezza», spiega Vanna Pedone mentre smonta la bancarella. Emblematica la risposta del collega Vanni Monti: «Come va? Non c’è proprio una domanda di riserva?».
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