L’osteopatia diventa corso di laurea: «Atteso da anni». «Ancora tanti dubbi»

Le reazioni Attivati due corsi, i professionisti locali: «Grande successo della sanità pubblica» - Più cauto l’ortopedico: «Favorevole solo per certe patologie, e ci sono implicazioni legali»

Un nuovo corso di laurea in Osteopatia, attivato per il momento solo a Firenze e Verona, ma che potrebbe aprire la strada a nuove prospettive per chi si avvicina a questa professione.

Sorridono gli osteopati comaschi di fronte alla novità, mentre gli ortopedici esprimono qualche perplessità a riguardo, facendo eco alle parole di Alberto Momoli, presidente della Siot (Società italiana di ortopedia e traumatologia), che invita a fare attenzione ai limiti della prevenzione e della cura, senza rischiare un’invasione di campo in altre professioni. Molto è ancora da capire: fino a ora, ad esempio, gli osteopati si sono formati attraverso scuole private, dunque potrebbe essere necessario farsi riconoscere il titolo.

L’offerta

Da vedere anche quale sarà l’appeal dei due nuovi corsi: non è escluso che, se funzionassero bene, l’offerta potrebbe allargarsi in altre parti d’Italia.

«Da un lato è un grande successo, erano anni che ci impegnavamo per questa cosa – commenta l’osteopata comasca Chiara Cicolella – un grande risultato per la sanità pubblica. Dall’altro lato forse sarà un po’ limitante perché il corso sarà triennale, noi invece abbiamo una formazione quinquennale e non ci saranno molte materie che per noi sono state fondamentali. Un’altra paura è che, non essendoci a oggi osteopati ufficialmente formati, chi insegnerà osteopatia nelle università statali? I docenti dei centri privati non sono stati coinvolti perché non laureati, si spera che si trovi un compromesso nel corso degli anni».

Soddisfatto anche Mattia Marson, del Centro Osteopatia Lariano: «Sono contento che finalmente sia stata riconosciuta questa disciplina, un passo significativo che a mio modo di vedere valorizza l’impegno e la dedizione di tanti e conferisce maggiore credibilità alla disciplina – dice - Per il resto spero che in ottica futura apra la strada ad altri sviluppi, per un approccio in generale più integrato alla salute e al benessere dei pazienti».

I limiti dei trattamenti

Più scettici, come detto, gli ortopedici. «Io sono favorevole al 50% all’osteopata, riferendomi alle patologie del rachide – ammette Alberto Giughello, ortopedico comasco - Sono convinto che effettivamente se non si ha una lesione vera e propria, documentata, siano squilibri di tipo meccanico che possono essere corretti con questi trattamenti. Negli altri casi ho una serie di riserve. In università, comunque, non ce la vedo: se deve essere un’alternativa per una serie ristretta di patologie va bene, ma da qui a fare un corso universitario mi sembra un po’ spinto. C’è anche una serie di componenti medico legali: quando si mettono le mani addosso, ci si assume la responsabilità: c’è un fondamento scientifico per cui si fa questo piuttosto che altro? Al momento non mi pare. Se poi il paziente non ottiene i risultati sperati, cosa succede? Non credo ci siano persone che hanno fatto solo trattamenti osteopatici. Se serve a far star meglio su una patologia non chirurgica ne discutiamo, ma fa parte di un cocktail».

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