Matrimonio combinato in Pakistan: due sorelle in fuga dal padre violento

Il caso Ospiti di una comunità nel Comasco, la loro storia ricorda quella di Hina, uccisa nel 2006. Papà lavora in una fonderia del Bresciano: si sono sottratte alla sua furia grazie a due passanti

È vietato uscire di casa (se non per andare e tornare da scuola), è vietato comunicare, parlare, coltivare amicizie, è vietato indossare la gonna, scoprirsi i capelli, ma soprattutto è vietato innamorarsi, ché lo sposo - anzi, gli sposi - li ha già scelti papà: due sconosciuti cugini che non parlano un parola d’italiano perché l’Italia non l’hanno mai vista.

Da Brescia rimbalza in queste ore una storiaccia di maltrattamenti, violenze e soprusi che ricorda un po’ quelle tragiche di Hina Saleem, la giovane pakistana uccisa nel 2006 dai parenti proprio a Brescia perché rifiutava di adeguarsi ai costumi del paese d’origine, e di Saman Abbas, ammazzata nel 2021 nel Reggiano perché aveva detto no a un matrimonio combinato in Pakistan.

La ricostruzione

Pakistane sono anche le protagoniste di questa vicenda, sorelle di 19 e 18 anni, ospiti l’una e l’altra di una struttura protetta in provincia di Como dopo avere subito un’ennesima violenta aggressione da parte di un fratello maggiore - che ha 26 anni e che risulta in cura per problemi psichiatrici - e del padre 59enne, operaio analfabeta impiegato in fonderia cinque giorni su sette dall’alba alle 14.30, quando in genere, dismessa la tuta da lavoro, si dedica a “compulsare” video sul telefono per il resto della giornata. E guai se il wifi fa cilecca.

Un pomeriggio di fine maggio internet smise di funzionare e, se è vero quel che le ragazze hanno ricostruito nella loro denuncia, padre e fratello si scagliarono contro di loro usando nei confronti di entrambe una violenza davvero primitiva: calci e pugni al corpo, al viso e in testa, né a qualcosa valsero gli sforzi di un altro fratellino, intervenuto in loro difesa dal “basso” dei suoi 14 anni e di una diagnosi di epilessia che mette a rischio ogni attimo delle sue giornate.

Quando le sorelle riuscirono a sottrarsi e a fuggire, i due uomini le inseguirono con la stessa furia anche per strada, e chissà come sarebbe finita se non fossero intervenuti due passanti di quelli che per fortuna non si voltano dall’altra parte; poi i carabinieri, i servizi sociali e il trasferimento nella comunità protetta del Comasco. Qui è stato possibile ricostruire anche il resto della storia, le puntate precedenti, se possibile ancora più tragiche; risulta che la mamma delle ragazze (e dei ragazzi) sia morta di malattia a inizio anno. Papà, ovviamente, neppure aveva concesso alle figlie di farle visita in ospedale.

Il ritorno in Pakistan

Per il funerale della madre la famiglia tornò in Pakistan, una quindicina di giorni, giusto il tempo per combinare i rispettivi matrimoni con quei due cugini di 40 e 14 anni. Poi il mezzo “miracolo” del rientro in Italia quando tutto sembrava ormai perduto, visto che nelle intenzioni di papà le sorelle sarebbero dovute restare laggiù; ottennero di poter rientrare a Brescia per completare la scuola, e con la promessa di ripartire al più presto per convolare a nozze.

A Como le ragazze non potranno restare per sempre, anche se da papà è escluso che possano tornare. Ha promesso di ucciderle, e chi conosce da vicino la loro storia dice che su questi argomenti, con certi padri pakistani, c’è molto poco da scherzare.

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