Medici e infermieri, non solo Svizzera: «Tanti chiedono di tornare al Sud»

Sanità Il carovita spinge molti professionisti a chiedere il trasferimento nelle regioni di origine - Il direttore generale di Ats: «Servono politiche abitative per aiutare chi non trova un alloggio»

Carenza sanitari, l’Ats: «C’è una fuoriuscita verso sud». Secondo il direttore generale Salvatore Gioia per assumere e trattenere medici e infermieri servono politiche per la casa e più spazio alla libera professione.

Alla nostra sanità manca un numero crescente di professionisti, medici di base, specialisti e ancora peggio infermieri. Tanti preferiscono andare lavorare in Svizzera oppure spostarsi nel privato.

«Abbiamo letto dell’impennata di dimissioni dagli ospedali pubblici – ha spiegato Gioia –. Quel dato però manca dei tanti trasferimenti chiesti e ottenuti dai colleghi dopo la pandemia per riavvicinarsi ai luoghi di origine. Tutte le Regioni infatti hanno potuto dopo il Covid aprire le loro porte e così tantissimi medici e infermieri sono tornati come loro diritto vicino a casa e alla famiglia». A farne le spese le aziende sanitarie delle nostre province nei decenni scorsi molto attrattive per tutto lo stivale. La direzione dei flussi oggi è da nord a sud anche per ragioni di caro vita. La Uil ha calcolato che nel 2022 le cessazioni dei lavoratori dal sistema sanitario pubblico comasco sono state 442, contro le 145 del 2011. L’aumento è superiore al 200%. Peggio per gli infermieri: da 48 a 165 dimissioni all’anno. Come detto questi numeri forniti dal sindacato però non comprendono i pensionamenti e i trasferimenti in altri ospedali, guardano piuttosto ai sanitari che sono andati oltre confine o nel privato. Secondo Gioia dunque con le fuoriuscite verso il meridione l’emorragia è ancora più consistente.

«In questo momento storico mancano anche le vocazioni – così ancora Gioia - perché questo è un mestiere di responsabilità che comporta sacrifici importanti e un’attività spesso stressante. Le professioni sanitarie hanno bisogno di essere riconosciute e valorizzate. Dobbiamo promuovere il lavoro nella sanità. In passato la programmazione nazionale ha avuto dei vuoti, ci sono lacune in particolare su alcune attività, mancano risorse umane strategiche per sviluppare nuovi progetti per lo sviluppo della medicina territoriale. Ma ci sono delle leve da muovere a livello sempre nazionale. A parere mio occorre dare la possibilità ai medici di lavorare anche nella libera professione, per chi ha tempo e voglia di impegnarsi anche una volta uscito dal reparto. E poi c’è il welfare, le singole aziende come la nostra possono mettere in campo tutti gli strumenti per conciliare i tempi di lavoro e vita».

«Ma servono anche politiche abitative per aiutare i sanitari che qui non riescono a trovare un alloggio e a permettersi una casa. Non è un privilegio, è una forma di rispetto per un mestiere che riveste un’importanza sociale. Abbiamo patrimonio pubblico edilizio in abbondanza». L’Ats si impegnerà affinché i giovani scelgano di iscriversi ai corsi di laurea in campo sanitario, non solo a medicina, ma anche alle tante professioni correlate altrettanto preziose.

«Tecnici di radiologia, ostetriche, infermieri – ha detto Gioia – sono mestieri ad alto valore sociale ed etico, che promuovono il benessere e la cura della cittadinanza. Senza retorica da angeli dobbiamo tornare a sottolineare l’impatto che la sanità ha sulla società».

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