’Ndrangheta, l’ex assessore in aula: «Costretto a baciare l’anello del boss»

Cadorago La testimonianza durante il processo per le presunte coop fittizie. Cesare Pravisano, ex assessore del Comune di Lomazzo: «Io vittima della malavita calabrese»

Il colpo si scena è arrivato quando, girandosi e aprendo una sacca alle sue spalle, ha estratto una busta contenente tre assegni in bianco mai riscossi.

Uno emesso il 30 giugno del 2009 da 10 mila euro, gli altri due (da 12.500 euro) il 21 e il 14 luglio dello stesso anno. «Vedete? - ha tuonato a quel punto Cesare Pravisano, ex funzionario di banca ed ex amministratore del comune di Lomazzo (era assessore) – Non li ho mai incassati, li ho ritrovati in questi giorni sistemando le mie cose. Sono stato definito l’uomo che è passato dall’essere la vittima della malavita a esserne il carnefice. Ma sono invece una brava persona, che per quattro anni ha subito le estorsioni della malavita calabrese».

L’udienza

È stato questo uno del passaggi chiave dell’importante udienza di ieri del processo in corso a Como con al centro dell’attenzione il giro di presunte coop fittizie che, tramite false fatturazioni e mancati versamenti delle imposte, avrebbero favorito personaggi vicini alla ’ndrangheta.

Sono 11 gli imputati. Altri 34 dello stesso fascicolo sono invece alla sbarra a Milano. Pravisano è stato sentito in quanto parte lesa in questo procedimento, mentre le indagini della Dda hanno portato in seguito a contestare che dopo essere stato vittima di pesanti estorsioni, cercò di avvicinarsi alla malavita per tirarsi fuori da quel giogo che gli si stringeva sempre più attorno.

Tesi che l’ex funzionario di banca ha negato. «Mi hanno svuotato – ha detto Pravisano – Ero il loro Bancomat. Era un continuo chiedere soldi, che prendevo un po’ dai miei conti e un po’ dalle mie cooperative. Continuavo a pagare sperando che un giorno avrebbero smesso». Cosa che non avvenne.

Nel mirino la famiglia Ficarra e i suoi esponenti. «Entravano nei pc e mi mostravano le foto dei loro parenti, dicendomi che se non avessi pagato sarebbero arrivati loro». E ha aggiunto: «Dovevo solo pagare e stare zitto. Sono stato costretto anche a baciare un anello, umiliazioni su umiliazioni».

Il grido davanti agli imputati

Poi è arrivato il grido perentorio, davanti agli imputati collegati in videoconferenza: «Io sono contro la mafia, sono una persona estorta. Con la mafia non ho niente da spartire».

«Mi hanno schiaffeggiato, mi hanno scritto “morte” sul muro dell’ufficio – ha proseguito toccando poi il tema di altre vicende giudiziarie che l’hanno visto coinvolto – Sì, ho evaso il fisco, ho sbagliato e per questo sto pagando, ma l’ho fatto perché dovevo restituire i soldi a chi me li aveva prestati per darli alla famiglia Ficarra. La mia è stata una evasione per bisogno, non per rubare allo Stato».

Pravisano ha poi ricordato anche quando coinvolse l’ex sindaco di Lomazzo Marino Carugati. «Mi massacravano con le richieste di soldi e preso dalla disperazione coinvolsi anche il mio amico Marino. Penso che anche lui sia poi stato minacciato».

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