«Niente Internet sotto i 13 anni? Macron ha ragione, ma è difficile»

Dibattito Il pedagogista: «Lo smartphone andrebbe dato in terza media. La regola sarebbe conoscere i ragazzi e capire qual è il momento giusto»

Bambini e adolescenti troppo tempo davanti allo schermo del cellulare: il presidente francese Emmanuel Macron ne vieta l’uso sotto gli 11 anni, niente Internet prima dei 13 così come social banditi prima dei 15 anni.

Una decisione che potrebbe essere copiata in altri Paesi e che sicuramente trova l’appoggio anche di pedagogisti, docenti e presidi, anche se non è di semplice applicazione. Qualcosa, però, si può fare per evitare che i ragazzini siano “stregati” dalla tecnologia e che ne facciano un uso poco consapevole.

«Io sono contrario ai telefoni sotto i 13 anni, ma credo che la politica del divieto sia sempre negativa, serve un lavoro di formazione con le famiglie e le scuole – commenta Raffaele Mantegazza, pedagogista -. Il cellulare sotto i 13 anni fa male a livello di sviluppo delle competenze relazionali, ma è anche uno strumento inutile, non lo sanno usare e crea pericoli che a volte gli stessi adulti non riescono a cogliere. La strada giusta non è un divieto per legge, ma nemmeno girare la testa dall’altra parte. Va fatto un grosso lavoro partendo dai genitori con persone esperte. Non è vero che senza lo smartphone i ragazzi sono isolati: se si inizia a gruppi di genitori a proporre delle alternative, diventa più efficace. Oggi si vedono bambini da uno a tre anni con il cellulare; non serve a loro durante l’evoluzione e può fare soltanto danni che il genitore medio non è in grado di intercettare».

Da tenere monitorato anche l’uso dei social. «I ragazzi pensano di poter diventare tiktoker di successo e fare soldi senza sforzi: sognare di diventare un astronauta o campione di sport è diverso che avere davanti sogni già realizzati – aggiunge Mantegazza -. Io credo che il telefonino andrebbe dato in terza media, poi ognuno sa se i propri figli sono maturi abbastanza per averlo. La regola sarebbe conoscere i ragazzi e capire il momento, ma meglio dopo che prima». Anche i presidi sono dello stesso pensiero. «In linea di principio mi trovo d’accordo, ma arriva molto tardi qualsiasi azione da intraprendere, siamo già oltre – è il parere di Giuseppina Porro, preside dell’Ic Como Lago -. Per me il cellulare alla primaria e nei primi anni della secondaria è uno strumento inadeguato. Come far guidare una Ferrari a un neopatentato, per questi bimbi sarebbe meglio la bicicletta, invece hanno una macchina che chiede competenze affinché sia usata senza fare danni. Ormai sono pochi gli alunni che non hanno il telefono e, a mio avviso, chi non ce l’ha affronta un percorso di crescita più adeguato. Uno strumento che rende potenzialmente in grado di produrre danni a loro e agli altri». «Sul cellullare sono assolutamente d’accordo, anzi, alzerei l’età – aggiunge anche Valentina Grohovaz, preside dell’Ic Como Centro – Anche perché ci sono implicazioni non solo sociali e legali, ma anche neurologiche. Tolto il cellulare, si elimina per gran parte anche l’uso di Internet. Se per legge ci fosse il divieto per i bambini di possedere il cellulare, sarebbe più semplice anche a scuola, perché il problema di portarlo o meno non ci sarebbe più».

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