«Ospedale per acuti, con meno letti». Ma il modello Sant’Anna non regge

La polemica Dopo solo 14 anni si parla già di ingrandire la struttura. Scelte iniziali sbagliate? All’epoca ignorati i medici: diminuiti i posti anche se la popolazione cresceva e invecchiava

Mentre la popolazione comasca invecchiava e cresceva, il principale ospedale comasco - o, meglio, i politici in Regione - tagliava i posti letto. La fotografia di questa contraddizione riassume in modo perfetto il motivo per cui dopo appena 14 anni il Sant’Anna è già obsoleto. Forse quest’ultimo aggettivo può suonare eccessivo, ma è un dato di fatto - e lo ha indirettamente confermato l’attuale direzione di Asst Lariana - che l’ospedale di San Fermo non basta più. E, così com’è, non va bene.

Vale la pena ripercorrerla, dunque, la storia del complicato trasloco da via Napoleona e delle scelte strategiche che hanno sostanzialmente ignorato le indicazioni dei medici che in ospedale lavoravano.

Primissimo dato da analizzare è quello demografico. Nel 1991, quando il Sant’Anna ospitava 800 posti letto, in provincia risiedevano 522mila persone. Oggi, che di posti letto ve ne sono appena 550 (ovvero un terzo in meno), non solo la popolazione è cresciuta del 15%, ma è anche invecchiata.

Certo l’equazione più residenti (senza contare la presenza di turisti, cresciuta esponenzialmente) più posti letto in ospedale, soprattutto a fronte di una progressione della scienza medica, non è necessariamente un assioma. Tant’è vero che il Sant’Anna nuovo era nato solo come ospedale per acuti, a fronte della volontà di gestire con la medicina territoriale tutti gli altri casi. Peccato che la medicina sul territorio sia stata erosa da una sostanziale fuga di medici di base e un cambio generazionale assente. E - come ampiamente dimostrato nell’era Covid - a fronte dell’incapacità dell’Ats Insubria di far fronte a una serie di servizi tipici della medicina territoriale, quelle incombenze sono finite a pesare sulle spalle dell’Asst Lariana.

Scelte sbagliate

Ma, al netto di questioni demografiche e di una progettualità sanitaria che non ha rispettato i programmi, come detto vale la pena raccontare brevemente l’epopea del nuovo Sant’Anna. Alla fine degli anni Ottanta in ospedale è stato creato un pool di medici con lo scopo di studiare un possibile modello di nuovo ospedale. L’idea emersa era soprattutto quella di un modello inglese, con reparti senza un’identità rigorosa ma ibridi, posti letti che si ampliano e riducono in base al bisogno del momento. Il superamento dei padiglioni (cosa che all’epoca del Covid ha causato non pochi problemi).

Il fatto è che meno di una ventina di anni fa, arrivato il momento delle scelte, la compagine sanitaria ha avuto una voce in capitolo molto relativa e le decisioni sono state soprattutto politiche.

Non solo, ma anche la struttura stessa del nuovo ospedale ha ricalcato esigenze diverse da quelle sanitarie: una struttura veloce da realizzare, con reparti divisi da pareti in cartongesso, spazi per l’emergenza assolutamente poco adeguati, ma anche - talvolta - porte inadatte (si pensi ai percorsi tra rianimazione e radiologia, con un sistema di chiusure e aperture poco funzionali). Il tutto su un terreno dove si è stati costretti a deviare un fiume, e infatti ci sono pompe in funzione praticamente senza sosta per tenere asciutte le fondamenta e non sempre ci si riesce, come dimostrano infiltrazioni nei sotterranei. Tutto questo mentre la popolazione cresceva e il sant’anna diventava sempre più rifugio delle carenze della medicina del territorio.

Son passati solo 14 anni. Sembrano già secoli.

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