Il sociologo Magatti: «Papa Francesco ha riportato la chiesa vicino a uomini e donne»

L’intervista Mauro Magatti,comasco, è docente di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e racconta il segno lasciato dal pontefice scomparso ieri su «un’umanità traballante»

Un’umanità «traballante», ferita e disorientata dal venir meno di un punto di riferimento epocale, che ha saputo coniugare il richiamo all’umiltà del Vangelo e la capacità di unire, in un momento di grave crisi, culti e culture diverse. Per Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, la scomparsa di Papa Francesco pone anche la Chiesa, e chi vi si riconosce, davanti alla responsabilità di porsi nel solco tracciato dal pontefice appena scomparso.

Professor Magatti, che cosa rappresenta in questo momento per la Chiesa la scomparsa di Francesco?

In questo momento molto difficile. Tutti, cristiani e non cristiani, avvertiamo il venir meno di un punto di riferimento. Papa Francesco in questo è stato un vero cristiano, è stato pienamente il capo della Chiesa cattolica ma al tempo stesso ha fatto vedere che il messaggio del Vangelo riguarda tutti gli uomini e le donne, addirittura che parla alle altre religioni e alle altre culture. Questo venir meno lo avvertiamo tutti come qualcosa che ci fa un po’ traballare. A tutti quanti resta la responsabilità di conservare non solo la memoria ma l’eredità di Francesco: la sua grandezza umile.

Qual è stata la cifra del suo pontificato?

Francesco è diventato papa in un momento di crisi della chiesa e ha sostanzialmente dato risposta al problema filosofico posto da papa Benedetto e che riguardava non solo il cristianesimo ma l’Occidente stesso, ed era il fatto che fede e ragione si fossero separate. Francesco ha detto che la questione non si risolve con un nuova grande teoria, con una dottrina precisa, ma mettendosi vicino all’uomo nella sua condizione di sofferenza, di umanità scartata, e riproponendo la domanda di senso e di significato che passa attraverso la preghiera. Risposta che ha suggerito anche per affrontare la crisi, peraltro in questo 13 anni diventata sempre più evidente, dello stesso Occidente.

Ha voluto stare vicino al suo popolo fino all’ultimo...

In maniera evidente in questi ultimi giorni ha voluto restare vicino agli uomini e alle donne, nel senso più concreto, pur sapendo che questo gli avrebbe probabilmente abbreviato la vita. Venerdì le carceri, il vicepresidente Vance, a Pasqua, e il giro della piazza. Ha voluto interpretare così il suo ruolo, spendersi fino all’ultimo declinando la frase del Vangelo “chi dona la vita la trova”. Un grande messaggio destinato a coloro che hanno gli occhi per vedere.

È d’accordo con chi lo ha definito il papa degli ultimi o crede che fosse il suo profilo internazionale a qualificarlo maggiormente?

Le cose come ho detto non sono diverse. Papa Francesco è stato da molti male interpretato come se fosse stato un uomo privo di un impianto intellettuale inadeguato al ruolo che ricopriva, in realtà era un uomo estremamente raffinato anche dal punto di vista intellettuale, aveva una visione molto precisa dell’epoca storica e della responsabilità specifica della chiesa , della necessità di una rigenerazione della vita cristiana, ma tutto questo lo ha declinato in modo pastorale e popolare, senza fare discorsi astratti ma cercando sempre di parlare agli uomini e alle donne comuni. Fra l’altro sappiamo che ha avuto un grande seguito, per alcuni aspetti, più fuori che dentro la Chiesa , perché voleva parlare a tutti, come peraltro la Chiesa è sempre chiamata a fare.

Quanto ha inciso in questo il suo modo di cambiare la comunicazione?

Questo lo ha sempre fatto anche quando era arcivescovo di Buenos Aires, era il suo modo di essere sacerdote. La Chiesa degli ultimi 50 anni è cambiata tanto, Francesco ha ulteriormente accentuato questo fenomeno ma non nel senso, come alcuni sostengono, di desacralizzarla. Il cristianesimo è una religione in cui il sacro ha una sua importanza, ma per la quale il sacro è sempre al servizio dell’umano, non per ragiono sociali ma perché la dimensione verticale del rapporto con Dio è necessariamente legata e in qualche modo dimostrata solo dal rapporto con gli altri.

Francesco aveva un forte le game con la nostra Diocesi.

Sicuramente la nomina cardinalizia del vescovo è stata legata alla vicenda di don Malgesini, oltre che alle qualità di Oscar Cantoni e alla storia della diocesi che, con esempi come don Guanella o San Scalabrini, ha sempre proposto figure vicine alla visione predicata da Francesco. Ma questa è anche una responsabilità per le chiese di Como eche dovranno in qualche modo dimostrare di essere capaci di rispondere a questo invito venuto da Roma.

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