Pennestrì e la parcella per la mazzetta: il giudice gli dà torto

La causa civile L’ex commercialista condannato per corruzione fa causa a un imprenditore . Voleva il pagamento dei suoi servizi nella tangentopoli del fisco

Il danno. L’onta. E infine la beffa, evitata in extremis da una sentenza del Tribunale di Como. Torna in un’aula di giustizia la vicenda della tangentopoli del fisco a Como. Il motivo? La causa intentata da Stefano Pennestrì contro un ex cliente del suo studio professionale. In estrema sintesi Pennestrì voleva il pagamento della parcella da parte del cliente per conto del quale aveva corrotto l’ex responsabile legale dell’Agenzia delle Entrate di Como.

La causa civile

La vicenda riguarda il primissimo episodio dal quale poi è scaturita la maxi inchiesta che ha decapitato il vertice del fisco lariano – compreso l’allora direttore - e messo nei guai decine di commercialisti comaschi. Ovvero la tangente pagata dallo studio Pennestrì al funzionario incaricato di sostenere le ragioni dell’Agenzia delle entrate in Commissione tributaria, in un contenzioso contro la Tintoria Butti, contenzioso per un avviso di accertamento da 300mila euro peraltro in parte causato proprio da un errore commesso dallo studio Pennestrì.

L’ex professionista comasco – nel frattempo radiato dall’Ordine – si sarebbe mosso agevolmente con l’ex direttore Roberto Leoni, peccato fosse stato appena trasferito a Varese. Il trasloco ha fatto naufragare la proposta di conciliazione - su cui tutti erano già d’accordo - ad appena 25mila euro, quindi lo studio Pennestrì si era concentrato sul funzionario Stefano La Verde, capo team legale, pronto a «inscenare il teatrino» di fronte ai giudici della Commissione Tributaria per far vincere la controparte.

Il giro di mazzette

La storia l’hanno ricostruite le carte processuali. Tra febbraio e aprile 2019 si susseguono incontri nello studio di Pennestrì, proprio dietro al Tribunale. Viene convocato Andrea Butti, socio dell’omonima tintoria, a cui viene spiegato: «Quella proposta che abbiamo fatto noi a 25mila euro (la conciliazione ndr) vuol dire lasciare sul tavolo qualcosa come 7/8mila euro. Okay?». E Pennestrì: «Chissà perché...». Risate. Ma la conciliazione sfuma e così scende in campo La Verde: «Vengo io in udienza e chiaramente aiuterà...». Stefano Pennestrì: «Sei veramente un figo». I commercialisti si pongono il problema su come ricompensare tanta “generosità”: «Facciamo noi o gli chiediamo quanto vuoi della tua assistenza?». L’8 marzo nello studio di via Auguadri si presenta La Verde e Stefano va al sodo: «Qual è la parcella?» «Vedi tu». «O me lo dici tu o vediamo insieme, non vedo io». «Di regola non ho un tariffario, per cui...».

Si va in Commissione tributaria, ma finisce male. Due giorni e Pennestrì, pur di fronte alla delusione della sconfitta, spiega a Butti: «In tutta questa strada non hanno chiesto un centesimo, perché dico “dare cammello, avere denaro” (...) Andrea, vorrei fare comunque quel risottino a questo qui dell’Agenzia (La Verde ndr) anche se “dare cammello, avere denaro” non c’è stato». E così il 2 aprile viene ripresa la consegna della tangente da 2mila euro, sempre nello studio di Pennestrì.

Anni dopo la condanna di Stefano Pennestrì, ecco la causa civile (intentata dagli avvocati Manfredi e Grieci) nella quale l’ex commercialista ha chiesto 35mila euro di parcelle non pagate. Il giudice ha respinto la domanda e dato ragione all’imprenditore (difeso dall’avvocato Angelo Giuliano), dando atto che lo studio professionale aveva commesso un «inadempimento di non scarsa importanza» nella formazione del bilancio. Da quell’errore erano sorte le incongruenze di bilancio e contabilità che hanno portato alla maxi sanzione del fisco, incongruenze – secondo il giudice – sulle quali manca la prova che la colpa sia da attribuire all’ex commercialista. Insomma: niente parcella, non era dovuta. Ma niente risarcimento danno, non vi è la prova dell’errore.

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