Comasco strangolato a casa dell’amica. I giudici moldavi: «Omicidio colposo»

L’inchiesta A processo la compagna: secondo i magistrati l’uomo non fu ucciso volontariamente. Anche la Procura di Roma indaga. L’autopsia aveva rivelato segni di «asfissia meccanica»

C’è una imputata per la morte di Franco Bernardo, 62 anni comasco, morto in Moldavia la scorsa primavera in seguito ad «asfissia meccanica». Tradotto: strangolamento. Ma l’accusa non è di omicidio volontario, bensì di «omicidio per negligenza», tecnicamente il nostro omicidio colposo. Quell’imputata è la compagna della vittima.

Era la sera tra il 31 maggio e il 1 giugno. Franco Bernardo era a Soroca, in Moldavia, cittadina di 20mila abitanti vicina al confine con l’Ucraina, ed era insieme alla donna che frequentava da circa un anno e ad almeno un parente di lei. Quella notte fu trasportato al pronto soccorso in gravi condizioni. E lì morì. Le persone presenti in casa parlarono di un malore successivo all’assunzione eccessiva di alcol. Ad avvisare i parenti rimasti in Italia, solo il giorno successivo, fu una voce di donna al telefono, che tuttavia fornì una versione confusa.

Che qualcosa non quadrasse, non lo ritennero solo i parenti ma anche la procura di Roma che aprì in fascicolo che è ancora in indagine. L’autopsia sul corpo del sessantaduenne cresciuto tra Lipomo e Tavernola, effettuata dall’anatomopatologo del Sant’Anna quando il corpo fu rimpatriato, mise in evidenza chiari segni da strangolamento, come successivi ad una pressione forte, tenuta per più di qualche secondo. Le carte parlarono tecnicamente di «asfissia meccanica».

Il processo

La procura moldava aprì un fascicolo con l’ipotesi di reato definita di «omicidio per negligenza» accogliendo dunque – almeno all’apparenza – la versione fornita da chi era presente in casa quella sera. Ovvero che dopo il malore successivo all’abuso di alcol (l’autopsia rivelò tuttavia una presenza non così alta, di poco superiore all’uno) Franco Bernardo, in un tentativo di essere rianimato, fu scosso e agitato in una disperata corsa per salvargli la vita.

Difficile tuttavia, con questa versione, capire il perché di quei segni al collo da strangolamento. Nonostante questo, a Soroca si è aperto il processo a carico dell’unica imputata, la compagna di 56 anni Svetlana Botas. La prima udienza si è già tenuta e il tribunale Moldavo – con la donna presente in aula – ha dato tempo ai parenti del sessantaduenne di Como di costituirsi come parti civili. L’udienza – in attesa della produzione della documentazione necessaria – è stata rinviata a dicembre.

Gli elementi che non tornano

Ma cosa è dunque successo in quella casa? Davvero poco più di un grammo di alcol nel sangue (il limite per guidare l’auto con lucidità, lo ricordiamo, è di 0,5) può aver provocato il malore fatale? E perché quei segni poco compatibili sul corpo della vittima? Senza citare la telefonata confusa, arrivata in Italia solo il giorno dopo, che portò ai parenti la drammatica notizia.

A Soroca invece sono convinti che fu un fatto colposo, senza dolo, figlio di una morte non naturale ma anche non voluta. Franco Bernardo e la sua compagna si erano conosciuti sul posto di lavoro, dipendenti in un hotel di Como, ed erano poi andati a vivere insieme a Cerano Intelvi. La famiglia del comasco, rimasta in Italia, non sapeva che in quelle ore l’uomo fosse a Soroca. L’ultima telefonata al figlio fu la sera stessa della morte, intorno alle 21, pochi minuti prima del decesso.

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