Ragazzi e Ius scholae: a Como cittadinanza per 8mila stranieri

Il dibattito Michela Prest, docente dell’Insubria: «Questione non soltanto di inclusione e rispetto: il calo demografico è un problema per le università»

Riconoscere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che completano uno o più cicli scolastici in Italia, tendenzialmente dalle elementari e fino alla scuola dell’obbligo, quindi fino ai 16 anni.

Questo alla base della riforma dello Ius Scholae che, dopo le Olimpiadi di Parigi, è tornata al centro del dibattito politico e sindacale.

Un punto di arrivo

È stato il deputato comasco di Forza Italia Paolo Emilio Russo, capogruppo in commissione Affari costituzionali, a manifestare il sostegno del partito allo Ius Scholae, spiegando come ci siano «leggi urgenti e questa non è urgente, ma altre giuste e questa lo è». Al momento nulla è ancora stato deciso ma, se la riforma dovesse andare in porto, rappresenterebbe un significativo cambiamento anche per la nostra città, considerando che a Como – secondo i dati Istat – ci sono oltre 8100 studenti stranieri nella fascia che va dai 9 anni – quindi scuola elementare - fino al diploma di istruzione secondaria di secondo grado o qualifica professionale. Ragazzi che, quindi, sono nati in Italia da genitori stranieri o sono arrivati molto piccoli, completando in città la loro formazione e che potrebbero rientrare nello Ius scholae.

«Io sono perfettamente d’accordo – conferma Michela Prest, vice presidente della Fondazione Provinciale della Comunità Comasca e direttore del Dipartimento di Scienza e alta tecnologia dell’Università dell’Insubria - Parliamo di ragazzi che hanno fatto per tanti anni il percorso in Italia, vissuto qui e usufruito di tanti altri elementi. Dargli la cittadinanza è un punto d’arrivo. I ragazzi di seconda generazione sono svariate decine di migliaia e di questi solo il 6% arriva all’università e si laurea. Sono giovani che entrano più tardi, lavorano già e hanno motivazioni molto forti, dimostrano di essere bravi. Io ritengo che i ragazzi rappresentino il futuro; chi come me lavora nel mondo della formazione, ha la fortuna di formare donne e uomini del domani, che disegnano il loro e il nostro futuro. Accompagnarli in un percorso di crescita è un grande onore, fare in modo che diventino parte della comunità è un compito che abbiamo».

Etichette diverse

«Sono assolutamente d’accordo - aggiunge - che siano cittadini come noi, ritengo che questo sia doveroso. Sono già parte della nostra comunità, perché etichettarli in una maniera diversa? Questo è un elemento finale, rende queste persone parte integrante della comunità, perché non dovrebbero esserlo? Solo perché a monte hanno genitori che sono nati in un altro Paese? Non guardare oltre è mettere il paraocchi, dobbiamo aiutarli a crescere, farli integrare nella nostra comunità di cui già fanno parte e alla quale contribuiscono. Se poi arrivano all’università e si laureano, fanno il percorso completo. Trovo che sia correttissimo, non solo inclusivo ma rispettoso verso queste persone». Proprio loro, secondo Prest, rappresentano una risorsa fondamentale, in vista del calo demografico.

«Il decremento demografico metterà le università in una condizione critica – sottolinea ancora -. Ok attrarre studenti dall’estero, ma ci sono tantissimi ragazzi stranieri di seconda generazione già qui e solo una parte limitata arriva all’università e su questo bisogna lavorare».

«Spesso non hanno prospettive e sono indirizzati verso il mondo del lavoro, non conoscono questa possibilità. Bisogna trovare il modo di pensare che qualsiasi scuola possa permettere di accedere all’istruzione terziaria - conclude la professoressa - e che l’università possa colmare le eventuali carenze».

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