Cronaca / Como città
Domenica 31 Dicembre 2023
Rimborsopoli, si riapre il processo. Dodici anni dopo
La Cassazione Da Roma bocciatura sulle sentenze di condanna. Per Pozzi e Rinaldin si riparte quasi da zero
Tutto da rifare. Nuovi testimoni da sentire. I diritti delle difese da tutelare maggiormente. Le valutazioni sull’esistenza del reato di indebita percezione di denaro pubblico da rifare completamente, stante il fatto che per i “semplici” consiglieri regionali l’accusa di peculato non tiene. Torneranno in aula il prossimo febbraio, a Milano, dodici anni dopo l’esplosione dello scandalo rimborsopoli, due dei quattro ex consiglieri regionali comaschi finiti a processo: Gianluca Rinaldin e Giorgio Pozzi. Per gli altri due, Luca Gaffuri e Dario Bianchi, il caso è chiuso: la condanna a Gaffuri è stata annullata senza rinvio dalla Cassazione, Bianchi invece dopo la condanna di primo grado decise di non proporre alcun appello.
Ma con il senno del poi sembra abbia fatto male. Perché la corte di Cassazione ha demolito, senza troppi giri di parole, gran parte delle granitiche certezze e della Procura di Milano e dei giudici che condannarono tutti gli imputati.
Innanzitutto sulla questione relativa all’accusa di peculato, per la Cassazione non vi è dubbio: «Ai fini della configurabilità del delitto di peculato mediante indebito utilizzo dei fondi per il funzionamento dei gruppo consigliari è necessario che il rapporto tra il consigliere regionale e il denaro sia connotato da una diponibilità diretta del bene». Ovvero: «Ciò che rileva è il conferimento per legge di un autonomo potere di firma che consenta di disporre liberamente del denaro». E quindi: «Va esclusa qualora il consigliere possa accedere al contributo solo previa presentazione di un’istanza di rimborso, corredata da documentazione giustificativa». I giudici della Cassazione rilevano come «l’istruttoria ha rivelato l’assenza di tale disponibilità diretta per i singoli consiglieri».
Diverso il discorso dei capigruppo: «Non vi è dubbio avessero la disponibilità giuridica del denaro». Eppure - forse per un errore di valutazione - Gaffuri, che era capogruppo democratico, si è visto annullare completamente la sentenza senza dover tornare a processo.
Per gli ex forzisti Pozzi e Rinaldin il discorso è differente. Nel loro caso, solo per alcuni capi d’imputazione, l’Appello - fissato per febbraio - dovrà procedere a un nuovo esame perché in primo e secondo grado vi è stata una «violazione del diritto di difesa per aver escluso i testi a discarico», procedente così a una «inversione dell’onere della prova» laddove «i giudici hanno ritenuto che tutte le spese per le quali non emergesse la compatibilità con le finalità istituzionali dovessero essere imputate a titolo di peculato». Era l’accusa a dover dimostrare il reato, non la difesa a dover provare che fossero lecite le spese.
La sensazione è che tutto è destinato a finire in nulla. Anche perché gran parte delle contestazioni riguarda le cene pagate a nostre spese. Per le quali la Cassazione dice: «Non è condivisibile» l’idea «che le sole spese di ristorazione valide fossero collegate a eventi organizzati dal gruppo consigliare, perché la legge regionale autorizza singoli consiglieri a garantire un costante rapporto con i territori» anche con le cene. Insomma: si torna in aula. Dodici anni dopo.
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