Cronaca / Como città
Domenica 02 Febbraio 2025
San Martino, si riparla del parco : «Patrimonio da aprire alla città»
L’incontro Gianfranco Giudice, Clemente Tajana e Gin Angri auspicano un futuro dell’area dell’ex istituto psichiatrico: «Luogo merviglioso, lì non sembra di essere in città»
«Il fatto che siano passati più di 20 anni dalla chiusura del San Martino e che non si sia fatto nulla è un qualcosa su cui dobbiamo interrogarci». A parlare è Gianfranco Giudice, docente di filosofia ma prima di tutto ricercatore, che anni fa si è tuffato negli archivi del vecchio istituto psichiatrico cittadino per raccontarne la storia.
Ieri al centro civico di Camnago Volta, Legambiente Como e Auser “Oltre lo sguardo” hanno dedicato il pomeriggio a questo «manicomio di confine», chiuso agli inizi del 1999, quando ospitava ancora 400 persone, nonostante la legge Basaglia fosse entrata in vigore nel 1978. All’epoca il futuro degli edifici e del parco era incerto, e così è rimasto. Mentre in altre città si è riuscito a immaginare un futuro per queste strutture, qui «ci sono solo proposte – prosegue Giudice -, che vanno nel dimenticatoio. Como deve registrare questo drammatico fallimento». Tra i progetti di recupero che si sono susseguiti, ce n’è uno in particolare, risalente agli anni ’80, che ipotizzava la creazione di un polo universitario nell’area del San Martino.
Ieri a presentarlo c’era uno dei suoi autori, l’ingegnere Clemente Tajana, che condivise la paternità dell’idea con Antonio e Amedeo Petrilli. «Fummo incaricati dall’Amministrazione Provinciale – racconta Tajana-. La nostra idea era che la salute mentale doveva andare in città, non segregata. Pensavamo a una serie di residenze protette, vicino a san Giuseppe, integrate nel quartiere, dove i residenti potevano essere autonomi e assistiti». E il polo universitario? «Si sarebbe spostato nei padiglioni che ora vediamo abbandonati».
Il tempo e le scelte politiche hanno fatto sì che si facesse «l’esatto contrario, mettendo al secondo posto il polo universitario, che ora è senza verde e senza parcheggi, con una notevole costipazione cementizia» ha spiegato l’ingegnere. Un peccato, perché «le aule dei padiglioni potevano benissimo essere aule universitarie». Mentre i bozzetti e i rendering scorrevano sulla parete, Tajana ha spiegato che anche il parco del san Martino avrebbe giovato del progetto: «Con don Aldo Fortunato si pensava di assegnare parte del verde alla comunità Arca, che l’avrebbe curata e tenuta aperta». Così non è stato e forse non sarà mai. Il progetto di Tajana e colleghi rimarrà per sempre «un’utopia», riferisce l’ingegnere: «Il politecnico ormai se n’è andato via».
Alle parole, il fotografo comasco Gin Angri ha preferito una raccolta di scatti per raccontare un San Martino dove la bellezza degli alberi autoctoni racchiude una struttura che invece è ormai degradata e incarcerata nello stigma che ancora porta con sé. Sedie arrugginite, i resti di un teatro, cucine a pezzi, vetri rotti e graffiti. E rami, tanti rami, che entrano dalle finestre e si arrampicano sulle grate, quasi a reclamare quei luoghi. Difficile immaginare su due piedi un futuro per tutto questo.
Un’ipotesi, per quanto timida,si fa avanti: si può puntare sulle residenze protette. Secondo Tajana «Villa Teresa è già una corte, può essere recuperata». Ma per i tre relatori una certezza c’è: il parco è di tutti e va aperto, perché è «una meraviglia preziosa, dove alberi e prati fanno dimenticare che si è in città».
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