Sciopero dei magistrati: «È stata solo una sfida contro il parlamento»

L’intervista Davide Giudici, presidente delle Camere Penali di Como: «La riforma della giustizia porterà un processo più democratico ed equo»

Come il bianco e il nero. O il dritto e il rovescio. La spaccatura sulla proposta di riforma della giustizia tra magistratura e avvocati non potrebbe essere più netta. E anche a livello locale se la stragrande maggioranza delle toghe ha aderito all’astensione contro il progetto di riforma costituzionale che prevede - tra l’altro - la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, dall’altro i penalisti condannano l’astensione. O, com’è il caso dell’avvocato Davide Giudici, neo eletto presidente delle Camere Penali di Como e di Lecco, quantomeno esprimono forti perplessità.

Avvocato, cosa non le è piaciuto dell’astensione della scorsa settimana dei magistrati?

Mi è sembrato un rito di autocelebrazione, un’apologia della conservazione, e anche una sfida al Parlamento e alla volontà popolare.

Ma perché parla di sfida al Parlamento? Dopotutto manifestare e scioperare è ancora un diritto...

I magistrati rappresentano un potere dello Stato. Lo strumento dello sciopero si pone in netta contrapposizione con gli altri poteri, in particolare con quello legislativo, e con la volontà popolare perché la legge di revisione costituzionale sarà sottoposta a un referendum

Al di là del metodo, nel merito perché le perplessità dei magistrati su questa riforma, largamente spiegati la scorsa settimana su La Provincia nell’intervista al procuratore Massimo Astori, la lasciano perplesso?

Abbiamo imparato tutti al primo anno di giurisprudenza che la Costituzione può essere cambiata. Proprio i magistrati che sventolano la Costituzione dovrebbero essere i primi a chiedere il rispetto dell’articolo 111.

Spieghi...

Quell’articolo dice che tutti hanno diritto a essere giudicati da un magistrato imparziale e terzo, cioè equidistante da accusa e difesa. Io ritengono che, oggi, la maggior parte dei giudici sia imparziale, ma essere colleghi dei pubblici ministeri non li rende terzi, così com’è scritto nella Costituzione. La separazione delle carriere non potrà che rafforzare la loro immagine anche dinnanzi ai cittadini perché, come disse il presidente Sandro Pertini: “Non basta essere indipendenti e autonomi, occorre anche apparire tali”.

Resta il fatto che, pure ammettendo le modifiche alla nostra Carta, i Padri Costituenti non hanno avuto dubbi sul fatto che i magistrati potessero garantire terzietà e autonomia. Perché cambiare, ora?

Perché ogni norma va calata nella realtà del momento. La normativa si è evoluta nel corso degli anni in un sistema dove la figura del pubblico ministero, inteso come rappresentate dell’accusa, non garantisce più quella terzietà che poteva valere all’epoca della firma della Costituzione.

Il timore dei magistrati è che i pubblici ministeri, separati dai giudici, potrebbero perdere la propria autonomia e finire sotto il potere esecutivo. Converrà che, dovesse accadere, questo sarebbe un pericolo per tutti i cittadini, non crede?

Guardi, le dico subito una cosa: dovesse accadere noi avvocati saremmo i primi a ribellarci, perché se parliamo di imparzialità e terzietà è chiaro che l’autonomia anche dei pubblici ministeri debba essere garantita.Ma il timore dei magistrati è una pura congettura, non vi è alcuna prova che si andrà a verificare quanto loro temono. Davvero non riesco a capire come la creazione di una carriera da pm separata da quella dei giudici possa tradursi in un controllo dell’esecutivo.

Forse perché, separando i magistrati, si ridurrebbe la loro forza numerica. Come si dice: “divide et impera”...

Ma non è così, Si tratterebbe di una duplicazione delle medesime garanzie. E comunque, ribadisco, l’avvocatura è la prima a dire no alla perdita di autonomia dei pubblici ministeri.

Ma lei crede che i problemi della giustizia potranno essere risolti dalla separazione delle carriere dei magistrati?

No, è chiaro, perché pesano le carenze di organico nella magistratura così come tra il personale amministrativo e pesano le carenze degli strumenti per poter compiere le proprie attività. Resta il fatto che la riforma è necessaria, per ristabilire equilibri e diritti di tutti.

Perché, secondo lei, i magistrati sono così contrari?

Mi sembra evidente: il vero problema è legato al rifiuto del sorteggio dei componenti togati del Csm da un lato e l’arrivo dell’Alta corte disciplinare, che sottrarrà questa competenza ai magistrati, dall’altro. Si tratta di due provvedimenti che combattono il vero problema attuale, che è quello del potere delle correnti nella magistratura.

A proposito dell’Alta corte disciplinare. Non è vero che la commissione disciplinare dell’Ordine degli avvocati è composta dagli avvocati? Quindi perché è giusto togliere questa competenza sui magistrati ai magistrati stessi?

In realtà sarà una composizione mista. Su 15 componenti, 9 sono magistrati e 3 nominati dal presidente della Repubblica. Le garanzie mi sembra ci siano tutte.

Sia onesto, a lei questa riforma piace tutta?

Secondo me garantirà un processo più equo e democratico. A me convince, ferma restando la disponibilità mia e dei colleghi al confronto, anche in ambito locale, su questi temi. Sarebbe bello poter dialogare con i magistrati su una riforma che riguarda tutti noi.

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