La burocrazia che uccide la scuola: «Io prof, schiava di un algoritmo»

La storia Maria Sole, docente di francese e precaria da undici anni: «Ogni anno è peggio. Un danno non solo per noi, ma anche per i ragazzi»

Ti aspetti rabbia e livore, e invece Maria Sole Galli misura parole ed emozioni. E anche se è della sua vita che parla, e di una professione che ama ma che ogni anno si fa sempre più foriera di amarezze burocratiche, racconta la sua storia con la pacatezza di chi preferisce far parlare i fatti alle emozioni. E di chi sa che la sua odissea, è emblematica per tutto la galassia scuola.

Oggetto del contendere è il famoso algoritmo introdotto oltre tre anni fa dal ministero dell’Istruzione, un sistema informatico per assegnare automaticamente supplenze e cattedre. Sistema che, ogni anno, causa disagi e problemi: «E finisce per peggiorare la vita non solo di noi professori, ma anche dei ragazzi».

Vita a precaria

Maria Sole Galli da 11 anni è professoressa precaria di francese. Ed essere insegnanti precari vuol dire lavorare fino al 30 giugno e ricominciare poi l’1 settembre, perdendo così due mesi interi di stipendio. «I primi anni riuscivo a trovare supplenze a orario pieno e in istituti che non richiedevano trasferte impegnative - spiega la docente comasca - Ho insegnato al Romagnosi di Erba, quindi al Sant’Elia a Cantù, poi per tre anni allo Jean Monnet a Mariano Comense, in quest’ultimo caso riuscendo anche a garantire una continuità didattica agli studenti». Quindi, all’improvviso, ecco che il ministero decide di introdurre un nuovo sistema informatico di assegnazione delle cattedre vacanti.

«In sé il sistema ha una logica - spiega la prof - perché fa incontrare le domande con le offerte. Il problema, però, è che di frequente si registrano errori nell’immissione dei dati e poi questo automatismo snatura il senso di una scuola fatta di persone» e non di burocrazia informatica. «Da quando c’è l’algoritmo la mia vita, così come quella di tantissimi altri precari, è sensibilmente peggiorata: il primo anno ho ottenuto cattedre spezzate tra Mariano ed Erba, quindi sono passata alle scuole media a Canzo, ma solo per 10 ore settimanali anziché il tempo pieno di 18 ore. Quest’anno ho avuto solo 8 ore tra Nesso e Lezzeno». E chi, con il passare gli anni, l’aumento dell’esperienza e un punteggio più alto auspicava in un miglioramento delle condizioni lavorative, vede invece la propria vita peggiorare.

Il danno e la beffa

Con paradossi al limite della beffa. Ad esempio: «Quest’anno alla luce del concorso indetto per docenti di ruolo, e legato ai fondi del Pnrr, molte scuole hanno dovuto tenere delle cattedre libere per ospitare i docenti non più precari. Il fatto - prosegue Maria Sole Galli - è che alcune di quelle cattedre sono rimaste scoperte e quindi la ricerca di supplenti è cominciata dopo. Il paradosso è che precari giovani, che si trovavano in fasce più basse, hanno ottenuto posti migliori e orari pieni perché una volta che sei stato scelto dall’algoritmo non puoi più tornare indietro».

Il danno e la beffa. «Per non parlare dei problemi educativi e didattici creati ai ragazzi, con i quali non si riesce a creare alcun rapporto in questo modo». Quando la burocrazia sale in cattedra, la scuola ha già fallito.

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