Soldi a Comodepur, la Corte dei conti condanna due ex dirigenti del Comune

La sentenza La Procura contabile: «Danno erariale da 3 milioni». La politica se ne lava le mani. E la difesa: «Sentenza ingiusta. Essenziale il servizio di depurazione, hanno fatto il loro dovere»

La politica se n’è lavata le mani. Addirittura l’assessore al Bilancio dell’epoca cadeva dalle nuvole: «Soldi a Comodepur? Non ne sapevo nulla». E così tutta la colpa è ricaduta sui dirigenti. Accusati di aver firmato le determine di pagamento che, a detta della Corte dei Conti, hanno causato un danno erariale ingente al Comune di Como. E, per questo, condannati a risarcire all’erario poco meno di un quarto di milione di euro.

La sentenza è datata ormai di qualche mese, ma è venuta a galla solo recentemente. Gli ex dirigenti di Palazzo Cernezzi Pierantonio Lorini e Giuseppe Ruffo dovranno risarcire alle casse di Palazzo Cernezzi rispettivamente 98mila e 152mila euro per una vicenda intricata, anziché no.

Una vicenda complessa

L’inchiesta erariale è legata ai rapporti tra il Comune e la Comodepur, quest’ultima società partecipata al 30% dall’amministrazione, al 10% da Acquedotto Industriale Scarl, al 9% da Acsm-Agam e per il resto comporta da una sessantina di aziende comasche. Nata negli anni Settanta per depurare gli scarichi industriali che finivano nel lago, con lo scorrere del tempo la percentuale dei volumi di acque trattate si è invertito e oggi ben il 95% del lavoro è per depurare le acque “civili” contro un 5% di industriali. Dato statistico non fine a se stesso.

La Corte dei Conti, infatti, ha contestato ai dirigenti del Comune (sotto inchiesta erano finiti pure Raffaele Buononato e Ciro di Bartolo, il primo archiviato, il secondo prosciolto per aver firmato l’atto nel 2020 dopo che il decreto semplificazioni ha cambiato il concetto di colpa erariale in conseguenza al Covid) di aver erogato in cinque anni qualcosa come 3 milioni di euro non dovuti a favore di Comodepur «al fine di assicurare l’equilibrio economico-finanziario» della società e non già come effettive spese per l’opera di depurazione.

Nella vicenda entra anche la creazione di Como Acqua srl, società pubblica incaricata di gestire il bene acqua sul Lario. La nuova società pubblica nasce nel 2014. Nel 2015 cambiano norme e convenzioni e - sostiene la Corte dei Conti - i pagamenti da parte dell’ente pubblico per riequilibrare il bilancio di Comodepur diventano di fatto immotivati. E contrari alla legge. E nonostante questo tra il 2015 e il 2020 da Palazzo Cernezzi vengono autorizzati pagamenti superiori a quelli relativi all’effettivo lavoro garantito dalla società di viale Innocenzo. Da qui l’inchiesta. Durante la quale la Procura contabile ha convocato l’ex assessore al Bilancio Adriano Caldara, il quale ha detto che nulla sapeva dei pagamenti emessi a favore di Comodepur. Versione presa per buona dalla Procura della Corte dei Conti, nonostante proprio Caldara non solo firmasse il bilancio comunale, ma facesse pure parte dei componenti della Commissione per il Controllo di Como Acqua, e - proprio per questo - direttamente interessato anche ai rapporti con Comodepur.

Così la difesa

Fatto sta che di fronte alla politica che se ne lavava le mani, la magistratura contabile ha deciso di agire solo ed esclusivamente contro chi ha materialmente apposto le firme sulle determine, figlie - peraltro - di indicazioni provenienti dalla stessa giunta comunale.

Ma per la difesa - sostenuta dagli avvocati Elisabetta ed Elia Di Matteo, i quali sono comunque riusciti a far ridurre la pretesa erariale per Ruffo da 875mila a 152mila euro e per Lorini da 562mila a 92mila - il caso non doveva neppure approdare in aula. Per un semplice motivo: Como Acqua, in quegli anni, non era ancora operativa. Lo è diventata, di fatto, solo dal 2021. Il servizio di depurazione non poteva certo attendere l’operatività della nuova realtà pubblica, perché è un «servizio essenziale» e, in quanto tale, il Comune «ha l’obbligo di garantirlo». Tradotto: anche volendo i dirigenti non avevano alcuna possibilità di negare i pagamenti ritenuti indebiti, se non volevano interrompere la depurazione delle acque destinate a finire nel lago. Contro la condanna, di conseguenza, è stato proposto appello.

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