Cronaca / Como città
Venerdì 17 Gennaio 2025
Stadio, Como attenta: evitiamo il grande magazzino
L’intervita Joseph Di Pasquale, architetto di origini comasche: «Sbagliato chiamare studi stranieri. Valorizziamo la cultura di quel luogo»
L’architetto Joseph Di Pasquale, da bambino, passeggiava con sua mamma tra l’hangar e Villa Olmo. E quando passava dal quartiere dove sorge il Sinigaglia rimaneva ammirato dalla Como Razionalista. E forse anche da quelle passeggiate è sbocciato l’amore per l’architettura, che lo ha portato a essere un professionista di fama mondiale.
Architetto, mi sbaglio o lei è tifoso del Como?
Io sono comasco e ho nel cuore la squadra della mia città, ma ho anche un’altra squadra del cuore... il Milan. Lunedì scorso mi son detto: vinca il migliore
Da architetto, più che da tifoso, sia onesto: davvero il Sinigaglia è lo stadio più bello del mondo?
Diciamo così: è un invitato vestito male a una serata di gala. C’è una parte, quella di Greppi che è l’ingresso di fronte al Novocomum di Terragni, che è di valore, ma il resto va sicuramente rivisto e riprogettato.
Lei avrà letto le ultime indiscrezioni sul futuro dello stadio, con l’incarico dato alla società internazionale Populous. Cosa ne pensa?
Partiamo da una considerazione: quello è uno stadio comunale, quindi una proprietà pubblica. Ho sentito nomi di progettisti internazionali coinvolti, ma secondo me bisogna fare il punto sulla gestione culturale di un intervento di questo tipo: coinvolgere d’ufficio certi professionisti è come vestirsi ai grandi magazzini per andare alla prima della Scala. Un errore.
Critico, insomma...
Noi siamo nella città che è stata la culla del Futurismo, dell’architettura contemporanea italiana ed europea, luogo di Sant’Elia, di Terragni, di Lingeri, di Cattaneo. Lì bisogna gestire il progetto dal punto di vista culturale. Non può arrivare chicchessia a realizzare un edificio da grande magazzino. La rilevanza culturale e pubblica di quel contesto è assoluta, io dico di livello mondiale: Como lake è famoso ovunque.
Quindi, la sua proposta?
La mia speranza, direi: che il Comune, rappresentante dell’interesse pubblico, si doti delle capacità e del livello culturale necessario per gestire un’operazione di questo tipo.
Ma non sarebbe più facile, a questo punto, spostare altrove lo stadio per non correre il rischio di snaturare l’area?
No, affatto. Io credo che l’idea di lasciarlo nel centro città sia una scelta più che legittima. Ci sono esempi meravigliosi, in Italia. Anche dal punto di vista della viabilità: quella zona di Como è già congestionata, quindi lo stadio potrebbe essere l’occasione per dare una dotazione di parcheggi che possa essere utilizzata anche dai residenti e dai frequentatori del lungolago. Però bisogna approcciare il tutto in maniera non provinciale, ma con il livello culturale giusto.
Ma lei sarebbe più propenso a restaurare l’esistente o ad abbattere e ricostruire?
Demolizione e ricostruzione senz’altro, tranne la facciata di Greppi dove c’è la scritta Sinigaglia. Ma va affrontata pure la riprogettazione di tutto l’isolato, non solo lo stadio. È un tema di progetto meraviglioso sia per gli aspetti urbanistici, sia per quelli culturali e funzionali per quella parte della città. Ci sono gli ingredienti per fare le cose bene. Comunque conviene che venga demolito e ricostruito completamente, fin dalle fondamenta.
Lei come se lo immagina, il suo Sinigaglia?
Per me dev’essere un isolato che dialoga con la grandissima profondità architettonica di Como e di quella parte di Como: c’è il Monumento ai Caduti, c’è il Novocomum, c’è il parco. Sono tutti elementi che vanno fatti emergere. Quello che mi preoccupa di più è che arrivi qualcuno che non ha alcuna consapevolezza del valore di questa storia, di questa ricchezza e possa fare uno stadio da grandi magazzini.
Lei terrebbe l’apertura tra l’attuale curva del Como e i distinti, quella dove si scorge il lago sullo sfondo?
Ma assolutamente sì. Anzi, le dico di più: si può pensare, ad esempio, a un’enorme finestra lato lago che consentirebbe di vederlo mentre si guarda la partita. Voi non avete idea delle possibilità creative che ci sono nell’immaginare un’architettura. Ma serve un confronto.
Traduca...
Serve una competizione tra idee. Bisogna lasciare libertà alla creatività, ma metterla in competizione. Non dico di fare i concorsi che durano anni e anni, ma più persone pensano una cosa meglio è. Pensate allo stadio di Milano: hanno messo due grandi studi internazionali a pensarlo, sono ancora lì che discutono. Non è quella la soluzione.
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