Strage di negozi in via Milano bassa: «Colpa degli affitti alti e del web»

Il caso Vetrine spente da San Bartolomeo a Porta Torre: in compenso il turismo spinge i pubblici esercizi locali, ristoranti e bar continuano ad aprire anche qui

Serrande abbassate in via Milano bassa: una delle strade di maggior transito automobilistico, un percorso quasi obbligato per chi scende in centro Como, è anche una delle zone della città che ha visto spegnersi un gran numero di luci, più di dieci solo nel tratto tra San Bartolomeo e Porta Torre.

Da piazza Vittoria

Partiamo dal fondo: all’angolo di piazza Vittoria c’era una banca, ora le vetrine sono vuote. Pochi passi più in là lo storico Lucca, specializzato in casalinghi e articoli da cucina: dopo una svendita di cui tanti hanno approfittato a gennaio si è spostato in via Auguadri e al suo posto non è subentrato nessuno. Dall’altra parte della via non c’è più l’agenzia immobiliare, al civico 45 mentre quasi dirimpetto, al 44, al posto di un negozio di abbigliamento sta per aprire Metano Nord, come si legge sui cartelli. Al 50 spicca un cartello affittasi con una precisazione: “Classe in via di definizione”. Il parrucchiere al 68 ha ancora le vetrine personalizzate, ma all’interno la mobilia è affastellata.

Di fianco c’era uno store dedicato al “bubble tea”, bevanda di gran moda, soprattutto tra i giovanissimi, ma il tè scoppiettante, evidentemente, non andava abbastanza se è vero che «hanno pagato all’inizio, ma a un certo punto sono spariti», dice Massimo Caccavari. L’immobiliarista è sulla soglia, in attesa di nuovi clienti, speranzoso di concludere e questo riporterebbe in vita un’altro punto vendita che rischia di restare spoglio. Come è accaduto ancora di fianco, all’outlet “Kasalingo” che si è spostato in pieno centro, in via Cinque Giornate. I clienti del Multistore Como, invece lo troveranno ancora, ma a una bella distanza, a Villa Guardia.

Il colorificio Bogani, in quel punto, risulta l’unico aperto in mezzo ai negozi chiusi. Quattro anni fa ha abbandonato lo storico punto vendita di via Cesare Cantù, davanti alle scuole, per spostarsi nella tratta più alta di via Milano bassa. «Costa quattro volte meno – spiega Flavio Bogani – Le catene possono permettersi di aprire in centro, il piccolo commercio è sofferente. Il turismo ha favorito enormemente la ristorazione, come si vede dalla quantità di locali, ristoranti, bar, che hanno aperto e continuano ad aprire, ma il commercio è stato atomizzato da tanti fattori, a cominciare dalla grande distribuzione, ovvero dai supermercati e, naturalmente, da Internet». Durante il lockdown quella che prima era una pratica già abbastanza diffusa, l’acquisto online, è diventata una realtà quotidiana. Prima si compravano merci a prezzi vantaggiosi o, semplicemente, assenti sulla piazza comasca. Adesso basta un click per ottenere tutto, “saltando” i negozi.

“Fast food” e “fast buy”

«Ho appena venduto un pennello a una signora, per ottenere un effetto particolare quando dipinge – prosegue Bogani – Non sapeva neppure che esistesse, online non l’avrebbe trovato. La professionalità, il contatto con il venditore erano fattori importanti a cui si sta dando, purtroppo, sempre meno valore. Come c’è il fast food, c’è il fast buy, l’importante è fare in fretta e spendere poco».

A questo si devono aggiungere gli affitti dei negozi, difficili da onorare con poche vendite, il sempiterno problema dei parcheggi, che si può vedere anche in un altro senso: semplicemente se si posteggia altrove non si arriva a piedi fino a lì.

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