Tangenti dai commercialisti? Prescritte. Ma una data sbagliata li manda a processo

L’udienza Accusati di corruzione per i compensi a un dipendente dell’Agenzia delle entrate. Alcuni casi risalgono a oltre 10 anni fa. Le difese contestano l’accusa: non ci fu alcun reato

L’udienza è iniziata da poco più di mezz’ora. Sul banco dei testimoni un sottufficiale della Guardia di finanza di Como ricostruire le accuse del primo capo d’imputazione. E dice: «Il commercialista ha chiesto di curare per suo conto una pratica di successione a Roberto Colombo» ex funzionario dell’Agenzia delle entrate di Como. «Per questa pratica Colombo ha ammesso di aver ricevuto 300 euro dal commercialista. Dunque, la data... marzo 2014». La presidente della corte guarda il pubblico ministero e fa notare: «Nel capo d’imputazione c’è scritto reati connessi fino al 2020». E l’accusa ammette: «Sì, ci sono delle date da precisare». In realtà qualcosa di più di una semplice “precisazione”, perché per molti imputati quel chiarimento segna il baratro tra un’accusa da cui difendersi e un reato già ampiamente prescritto.

La tangentopoli

Si è aperto con un colpo di scena, in realtà atteso da molti difensori, il dibattimento per gli ultimi scampoli della cosiddetta tangentopoli del fisco. Una vicenda nata dalle tangenti pagate dallo studio Pennestrì all’ex direttore dell’Agenzia delle entrate e all’ex responsabile dell’ufficio legale, che successivamente ha portato a galla altri - ben diversi - compensi. Quelli riconosciuti a un dipendente dell’Agenzia stessa per curare delle pratiche di successione per conto di una serie di commercialisti comaschi.

L’accusa ipotizzata dalla Procura (sono venti in tutto le persone a processo) è di corruzione per doveri d’ufficio. Ipotesi di reato respinta con forza dai difensori degli imputati, secondo i quali la redazione della dichiarazione di successione non rientrava tra i compiti del funzionario, ancorché per il suo lavoro riceveva compensi in nero.

Pratiche vecchie di 10 anni

Il fatto è che prima ancora che discutere del merito delle contestazioni, l’apertura del dibattimento, ieri mattina in Tribunale, ha sancito che per molti imputati non si doveva neppure arrivare in aula.

Ad esempio per i commercialisti Giorgio Arnaboldi, consulente tecnico del Tribunale di Como (accusato di aver dato 300 euro per una singola pratica nel 2014), Attilio Borsani, (avrebbe dato 1.150 euro per 3 pratiche nel 2013), Walter Corti (due pratica per 600 euro nel marzo 2014), Bruno Meroni (avrebbe usufruito di visure non autorizzate garantite dall’agente del fisco, nel 2013, dietro al pagamento di 2400 euro), Franco Pagani (due pratiche per 600 euro sempre nel 2013).

Il fatto è che nel capo d’imputazione anziché leggere la reale data del reato contestato, si legge: «Fino al maggio 2020» ovvero quando la Procura è intervenuta con gli arresti all’Agenzia delle entrate.

A fronte di questa situazione, la presidente del collegio, Valeria Costi, ha invitato gli avvocati difensori a far valere la possibile prescrizione dei reati, depositando un’istanza entro il prossimo autunno. E comunque prima del gennaio dell’anno prossimo, a quando è stato rinviato il dibattimento con l’attesa testimonianza del funzionario del fisco accusato di essersi fatto corrompere. E le cui confessioni hanno dato il là a un processo che, per molti professionisti, non doveva neppure cominciare.

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