Dopo tre mesi di buio in Antartide, il ricercatore comasco torna a vedere il sole

La storia Gabriele Carugati, 44 anni, è tecnico di laboratorio all’Università dell’Insubria. Ora si trova impegnato in una campagna di ricerche e ha passato tre mesi a -75 gradi

Oggi, in Antartide, sorgerà il sole per la prima volta dopo circa tre mesi e mezzo di buio.

La luce tornerà a illuminare anche la stazione Concordia, dove ci sono tredici “invernati” che da febbraio sono completamente isolati dal resto del mondo e così rimarranno fino a novembre. Si tratta di persone impegnate nella ventesima campagna invernale del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e, tra loro, c’è lo station leader Gabriele Carugati, 44 anni di Manera, tecnico di laboratorio dell’Università dell’Insubria.

Il comasco si era candidato per la posizione di scientifico per le attività di chimica/glaciologia e, dopo aver superato la selezione e l’adeguata preparazione, era partito per la campagna del Pnra, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca e gestito dal Consiglio nazionale delle ricerche per il coordinamento scientifico, dall’Enea per la pianificazione e l’organizzazione logistica delle attività nelle basi antartiche e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale per la gestione tecnica e scientifica della sua nave da ricerca “Laura Bassi”.

«Vedremo la prima alba dal 4 di maggio - spiega Carugati, dalla stazione - C’è stato un po’ di riflesso della luce, non proprio buio assoluto, ma il sole ha il suo fascino. La missione sta andando molto bene, il clima tra noi 13 all’interno della base è ottimo, ci diamo una mano. Siamo tutti stanchi sia fisicamente che mentalmente; era preventivato, ma poi la realtà è un’altra cosa. Per quanto riguarda il clima siamo nella media, è stato un inverno abbastanza tranquillo, un po’ più ventoso. Solo in due episodi non siamo usciti per più di 24 ore. Per il resto è una buona annata, siamo riusciti a fare tutto quello che dovevamo, inconvenienti fino a ora nessuno. Siamo ancora completamente isolati dai primi di febbraio, soli soletti in mezzo al nulla. Però questo inverno ci ha regalato dei bei ricordi, ci sono stati due episodi di aurora veramente forte, foto pazzesche, le stelle sono incredibili».

Le temperature

Temperature nella media, dunque, ma pur sempre rigidissime. «Non è mai andata sotto i -80 gradi misurati, è sempre stata intorno ai -75 gradi per due o tre mesi. Oggi è freschino, ma siamo intorno a -60/65, ci sono stati picchi più caldi. L’anno scorso il record era stato -81.9, più o meno ci siamo. Il vento la fa da padrone, è quello che fa abbassare la temperatura. Abbiamo provato ad avere una temperatura percepita di -95 gradi, ma comunque è fattibile. Ognuno di noi ha il suo modo di vestirsi, io in 5/10 minuti sono fuori: c’è un sottotuta termico, poi una tuta di pile e sopra tutto la tuta polare che pesa 12 kg. Fuori si va con passo lento, ovviamente c’è la copertura per il viso, passamontagna, cappello e almeno due paia di guanti. Serviva anche la lampada frontale perché altrimenti non vedevi nulla. La settimana del 21 di giugno è stata la più buia, le giornate qui erano prive di riflesso, un po’ come essere in un acquario, era tutto blu».

Una prova di forza sia mentale che fisica: alla base c’è naturalmente anche un dottore, il solo che potrebbe intervenire in caso di bisogno, dato che tutti i collegamenti sono interrotti.

«Per il momento è andato tutto liscio, magari c’è qualche strumento che si inceppa, ma siamo preparati. Ci siamo adattati tutti bene sia alla quota che alla carenza di ossigeno, non essendoci batteri e virus non si può prendere il raffreddore. Il nostro chef sta facendo il suo lavoro più che egregiamente, non ci manca nulla. Il primo aereo arriverà i primi giorni di novembre, poi dipende dal clima, se sull’Antartide tira vento forte si posticiperà, così come se dovesse mancare visibilità. Noi avremo una decina di giorni di sovrapposizione con il nuovo team che affronterà il prossimo inverno, poi ci imbarcheranno. Mi prenderò un periodo di ferie in Nuova Zelanda, verrà anche mio figlio, poi tonerò in Italia la prima settimana di dicembre; finché non esci di qua, comunque, non puoi programmare».

La famiglia

Un distacco che, ora, inizia inevitabilmente a pesare, anche se i contatti via telefono sono costanti grazie a un’ottima connessione. «Mio figlio è contento di questa esperienza e poi di raggiungermi in Nuova Zelanda, sarà una bella avventura anche per lui – conclude Carugati -. Ci sentiamo regolarmente, non si sono persi i contatti con nessuno, è importante per il benessere mentale e per la serenità delle persone che rimangono qui, fa la differenza. Gli ultimi tre mesi sono forse i più difficili, senti l’uscita vicina ma manca ancora tanto. È un’esperienza incredibile, sembra di essere su un altro pianeta. Se lo rifarei? Magari un altro inverno no, ma una campagna estiva da tutor sì. Ora c’è tanta voglia di tornare a casa, anche se qui non ci è mancato nulla».

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