Truffa sul 110%: ecco le prime pene. I principali accusati restano “in fuga”

L’inchiesta All’amministratore della società accusata di una frode da 36 milioni 4 anni e 2 mesi. Sempre alle Mauritius i coniugi ritenuti le menti del sistema. Inguaiati quattrocento clienti

Como

Fioccano le prime pene per gli imprenditori accusati di aver inguaiato almeno 370 clienti con ristrutturazioni fantasma garantite con la cessione dei crediti per gli ecobonus statali. Marco Monti, 52 anni di Vigevano, amministratore della CDM Group, società con sede in viale Varese accusata di essersi inventata centinaia di ristrutturazioni, ha infatti patteggiato una pena a 4 anni e due mesi di reclusione. E il prossimo 6 maggio davanti al giudice delle udienze preliminari compariranno anche gli altri imputati, arrestati dalla Guardia di finanza lo scorso settembre: Monica Ceron, 55 anni di Cesano, Samuele Russo, 50 anni di Trezzano sul Naviglio e Giuseppe Ruta, pavese di 71 anni.

Nascosti alle Mauritius

Chi, al momento, non subirà alcuna conseguenza legale sono le presunte menti dell’intera sospetta truffa da 36 milioni di euro ai danni dello Stato: Livio Motta, 61 anni, e la moglie Patrizia Galli, 56 anni, sono di fatto “in fuga” dallo scorso settembre, tutt’oggi ben lontani dalla giustizia italiana in quanto di fatto residenti nelle Mauritius. Da dove, è l’accusa della Procura, è più facile evitare di pagare le tasse allo Stato italiano.

L’indagine sulla presunta truffa ha preso il via tre anni fa su segnalazione di una contribuente, la quale - dopo aver consultato quasi casualmente il proprio cassetto fiscale sul portale dell’Agenzia delle Entrate - ha scoperto di aver fatto una cessione di crediti da 48mila euro per lavori di ristrutturazione edilizia in realtà mai eseguiti a favore di una società comasca mai sentita prima.

Nel corso dell’inchiesta le fiamme gialle comasche e la Procura di Como - il fascicolo è coordinato dal pubblico ministero Antonia Pavan - sono arrivate a scoprire qualcosa come 341 committenti, che risultavano aver ceduto alla società di viale Varese bonus per 36,4 milioni, pur non avendo mai fatto lavori.

Di quei soldi, 12 milioni sono stati ceduti alle banche con la monetizzazione di 7,5 milioni di euro di crediti d’imposta fantasma.

Clienti nei guai

Mentre gli imprenditori accusati di essersi inventati centinaia di cantieri per incassare - tradotto: per “rubare” - dallo Stato i crediti dell’ecobonus si godono la loro villa ai margini della Coastal Road di Mahébourg, nella zona Sudorientale delle Mauritius, in riva a un mare cristallino, gli ignari clienti rischiano di trovarsi nei guai con l’Agenzia delle entrate. Perché in questa vicenda c’è un retroscena che ha del clamoroso, la più classica delle beffe, oltre il danno: la possibilità di una rivalsa economica da parte del fisco nei loro confronti, in quanto formalmente titolari della richiesta di denaro pubblico per poter procedere a ristrutturazioni edilizie nell’ambito degli ecobonus.

Dal canto loro i finanzieri hanno proceduto finora a una serie di sequestri a partire dagli immobili riferiti alla società di viale Varese oltre a qualche decina di migliaia di euro trovati sui conti degli imputati.

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