Usura, violenza, droga all’ombra dei clan: in 29 davanti al giudice

L’inchiesta La direzione antimafia chiude l’inchiesta e chiede il giudizio immediato per tutti gli arrestati. Il blitz a fine maggio. Cinquanta gli episodi contestati

Ci sono le botte a un imprenditore che non riusciva più a pagare i tassi usurai. Ci sono le armi. Ci sono fiumi di droga che hanno finito per creare tensioni tra fazioni opposte con il rischio di una vera e propria guerra, sventata per l’intervento di un vecchio boss della ’ndrangheta. Ci sono i magheggi societari. Le minacce. Le estorsioni. Con tanto di aggravante del metodo mafioso.

Sono ben cinquanta i capi d’imputazione che la Procura antimafia di Milano contesta a 29 indagati per i quali è stato chiesto, nei giorni scorsi, il giudizio immediato.

È già giunto il momento della resa dei conti giudiziari per l’inchiesta che, a fine maggio, ha portato al blitz compiuto dalla polizia (l’indagine è stata condotta dalla squadra mobile di Como) in tutta la provincia. Due i filoni principali dell’indagine. Il primo legato soprattutto a una serie di accuse relative allo spaccio di droga e alla detenzione e al porto di armi. Protagonisti principali Vincenzo Milazzo, 40 anni di Canzo, e Luigi Vona (già condannato nel processo Infinito perché capo della locale di Asso della ’ndrangheta), 71 anni di Valbrona; ma anche Leonardo Potenza, 48 anni di Asso pure lui.

Secondo gli investigatori, la coppia Vona-Milazzo avrebbe gestito il mercato della droga in tutta la zona dell’Erbese arrivando anche a scontrarsi, pesantemente, con Pasquale Oppedisano, residente a Bosisio Parini, che - sempre stando all’accusa - invece tirava o avrebbe dovuto tirare le file dello spaccio a sud del Segrino.

L’aggravante mafiosa

Il secondo filone ha riguardato maggiormente il territorio della Bassa, con Marco Bono, 49 anni residente a Cadorago, nel ruolo di promotore e capo di una presunta associazione per delinquere dedita allo spaccio di droga, ma non soltanto. Perché in questo secondo troncone, che vede tra gli altri sotto accusa Giacomo Pirottina, Armando Papasidero, Vnicenzo Pesce, spuntano anche una serie di reati aggravati dal metodo mafioso. E, in particolare, l’usura (a casa di Marco Bono i poliziotti hanno sequestrato non solo denaro in contanti, ma pure un quaderno contenente il nome e gli importi di possibili debitori), l’estorsione, l’auto riciclaggio.

Cosa succede ora

Sullo sfondo di una indagine che non è arrivata a contestare per nessuno l’associazione a delinquere di stampo mafioso, non è però mancata la presenza costante della cappa provocata dall’ombra della ’ndrangheta. Non a caso molti dei reati per i quali la Procura antimafia ha chiesto il giudizio immediato, sono aggravati proprio dal metodo mafioso. E i contatti con esponenti dei clan calabresi - Luigi Vona su tutti - non mancano di certo. Anzi.

Con il giudizio immediato (il processo è stato fissato per il prossimo 10 dicembre in Tribunale a Como) si apre per gli indagati - d’ora in avanti imputati - la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato. Ed è quasi certamente questo che tutti (o quasi) faranno anche per ottenere uno sconto di pena legato alla scelta di un rito più rapido di giudizio. Un calcolo che riguarda, in particolare, 18 imputati gravati da una serie di pesanti recidive. Verosimilmente, dunque, l’udienza preliminare si terrà non prima dell’anno prossimo. Sono almeno tre le persone offese individuate dalla Procura antimafia, oltre a due società.

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