Vendite sospette di immobili, a processo. Non ci fu reato: assolti gli undici imputati

Cantù Gli amministratori e fiscalisti legati alla società erano accusati di bancarotta fraudolenta . Nessuna distrazione di capitali (5 milioni di euro) nel fallimento, ma cessione di ramo d’azienda

Non ci fu alcuna distrazione di capitali dalla società, anzi il dissesto della stessa Iscomaco fu «piuttosto determinato dalle illegittime ed esorbitanti pretese erariali», fondate per di più «sull’erroneo presupposto della qualificazione dell’operazione» finita al centro del mirino come «cessione di immobili», quando in realtà si era trattato di un conferimento di ramo d’azienda, come del resto confermato da una apposita pronuncia della Suprema Corte di Cassazione. Un cane che si morde la coda, insomma, perché da quelle citate «illegittime» pretese dell’erario, la società si trovò in difficoltà (furono emesse cartelle esattoriali da oltre quattro milioni di euro), arrivando fino al fallimento proprio in ragione della «esposizione debitoria maturata nei confronti dell’Erario».

Parole pesanti dai giudici

Sono parole pesantissime quelle scritte dai giudici del Collegio di Como, nell’ambito delle motivazioni di un processo per fatti accaduti addirittura nel 2010 concluso però con una maxi assoluzione per tutti gli imputati, ben 11, che ne sono usciti con la formula del «fatto non sussiste».

Termina dunque così una lunga battaglia giudiziaria che ha visto impegnati, per anni, Giuliana Bettoldi (68 anni di Casnate con Bernate), Giovanna Giudici (65 anni di Cantù), Arturo Pozzoli (79 anni, di Inverigo), Elisabetta Barri (44 anni di Cantù), Daniele Bonini (53 anni originario di Reggio Emilia), Lorenzo Esposito (pure lui di Reggio Emilia, 56 anni), Franco Giussani (78 anni di Cantù), Giancarlo Roda (66 anni di Eupilio), Antonio Salvadè (75 anni di Canzo), Lida Barri (comasca residente nel Varesino, 49 anni) e infine Silvano Barri (74 anni di Fino Mornasco).

Ad uscire vincitrici dal processo, che fin dalle fasi iniziali di questa indagine era stato molto combattuto, sono stati dunque i legali del pool di difensori composto da Elisabetta Di Matteo, Marco Franzini, Davide Giudici, Andrea Marcinkiewicz, Federica Malvezzi e Antonio Franco Sarzi Amadè. L’accusa che era stata mossa dalla procura era quella di bancarotta per distrazione e dissipazione.

La vicenda riguardava il fallimento, avvenuto nel 2015, della Iscomaco srl, una società immobiliare (ma non solo) proprietaria di beni per una ventina di milioni di euro, e della Cassia srl, società della sua galassia.

Nel 2010 la srl canturina si rese protagonista di una complessa operazione di trasformazione societaria, con la creazione della Fobos srl a cui furono conferite quasi tutte le sue immobiliari per un valore di 19 milioni di euro.

L’aumento di capitale

Un anno più tardi la Fobos deliberò un aumento di capitale che aveva di fatto ridotto la Iscomaco a socio di minoranza (dal 100% al 10%), conferendo la quasi totalità delle quote ad una società di Lugano. Un’operazione di distrazione, secondo la Procura, che avrebbe di fatto spogliato la società del suo patrimonio.

Questa ricostruzione era però stata da subito combattuta partendo dal presupposto che quella effettuata altro non era che una ristrutturazione del gruppo in cui ad essere trasferiti con la cessione del ramo erano stati non solo gli immobili ma anche tutti i contratti in essere.

Sulla vicenda era piombata l’Agenzia delle Entrate con pretese da milioni di euro, che aveva qualificato il tutto come una vendita di immobili da tassare. Contenzioso che tra l’altro era finito anche di fronte alla Cassazione, che aveva dato ragione alle difese, come pure hanno fatto i giudici del Collegio di Como che hanno ulteriormente fatto notare come – prima che esplodesse questa vicenda - «sia la società conferente sia la conferitaria, erano in condizioni di stabilità».

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