Virus, addio a una generazione di nonni
«Loro hanno reagito, noi pieni di paure»

Como: racconti di chi, nelle case di riposo, è stato vicino fino all’ultimo a tanti anziani. La direttrice della Ca’ d’Industria: «Hanno mantenuto la calma. Ho tenuto un diario dei ricordi»

In silenzio e lontano dall’affetto dei loro cari in due mesi una generazione di nonni comaschi ci ha lasciato. Anziani che hanno affrontano la morte, sostengono i pochi coraggiosi testimoni che hanno assistito alla strage, con una preparazione invidiabile e senza la paura che ha investito mezzo mondo.

Tra aprile e marzo sono deceduti 663 anziani comaschi in più rispetto agli anni precedenti. Questo è il drammatico bilancio tracciato nel periodo dell’emergenza epidemiologica nel territorio lariano fotografato dall’Istat tra gli over 65, la mortalità oltre agli 85 anni è salita del 4%. Le notizie più tristi come noto si sono concentrate nelle Rsa, strutture che hanno pianto i loro ospiti in situazioni molto complicate.

In prima linea

«Nelle ultime dolorose settimane ho scritto un diario per non perdere i ricordi – racconta Marisa Bianchi, direttrice della Ca’ d’Industria –. A me sembrava una guerra, ma almeno in guerra si conoscono i nemici. All’inizio, invece, il male contro cui si doveva combattere ci era ignoto. Le famiglie avevano giustamente paura, perché non vedevano i loro cari. Noi avevamo paura per loro e per noi stessi, temendo di portare il virus a casa. Difficile in quei momenti trovare le parole giuste per spiegare. Il lutto non ha avuto un abbraccio, non è stato possibile dare un saluto nemmeno nelle fasi terminali. Eppure, in tutto questo dramma, gli anziani hanno mantenuto una calma invidiabile. Hanno saputo reagire, guardare alle cose meglio di noi. Anzi ci davano sicurezza. Era come se fossero preparati, come se fossero più vicini al senso della vita. Loro la guerra l’avevano davvero alle spalle e hanno imparato a comprendere meglio il mistero della morte». È un passo naturale che tutti dobbiamo affrontare. Certo l’epidemia ha creato sconforto, inquietudine, lontananza. «Quando ci penso cerco le ferite che mi sono rimaste addosso – dice Michele Iafrancesco, un operatore sanitario de “Le Camelie” – psicologicamente è stato difficile, le notti non sono passate serenamente. Siamo stati gli unici testimoni per tante famiglie dell’ultimo addio dei loro padri, dei loro nonni. Abbiamo ricevuto e fatto chiamate per dare conforto, per raccontare le ultime parole. È un bagaglio pesante da portare. Invece gli anziani arrivati alla fine della loro vita avevano una forza diversa. Forse erano già provati dalla lunga esistenza, dai ricordi della vera guerra e dalla fame che ne è seguita. Comunque non sembravano impauriti, erano sicuramente meglio preparati. Mentre noi tremavamo e cercavamo di farci coraggio, gli ospiti sembravano tranquilli, come se sapessero già cosa sarebbe successo».

Più patologie insieme

Circa un terzo dei lombardi ha una malattia cronica, le patologie che segnano la terza età sono spesso più d’una e dunque la salute dei nostri anziani è assai delicata. «La popolazione anziana ha spesso dei quadri già compromessi – spiega la geriatra Rossana Arienti – ed è difficile che ci sia una sola malattia in azione. Ecco uno dei motivi per cui il Covid ha colpito duramente i lombardi. Ma oltre all’insieme delle patologie conta molto anche la fragilità dell’individuo. Ci sono anziani di novant’anni che possono raccontare sia la guerra mondiale che la guerra contro il Covid».n
S. Bac.

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