Benedetto XVI: un ritratto contro i pregiudizi

In “Joseph Ratzinger. Fotogrammi di umanità”. Giovanna Chirri rende giustizia al Papa emerito sotto un punto di vista intimo e dai tratti inediti

Conservatore autocratico e arcigno custode dell’ortodossia. Papa sordo al dialogo, incapace di difendersi dalle invettive più infamanti e reggere le redini della Chiesa cattolica nei marosi della modernità. Sono pregiudizi e stereotipi duri a morire, sedimentatisi nella memoria collettiva.

Completano un ritratto di Benedetto XVI fazioso e fuorviante, eppure egemone. Dall’arrivo in Vaticano come prefetto per la dottrina della fede all’elezione al soglio petrino; dalla rinuncia al pontificato al ritiro nella preghiera, alla malattia, alla morte. In “Joseph Ratzinger. Fotogrammi di umanità” (Ancora), Giovanna Chirri, vaticanista di lungo corso, rende giustizia alla persona del Papa emerito, convoca collaboratori e amici allo scopo di lumeggiare virtù che stridono rispetto all’immagine pubblica ritagliata dai detrattori.

Senza tacere i travagli patiti né sorvolare sugli snodi più traumatici del suo regno. Restituendo, però, la verità su un uomo dalla profonda sensibilità, ammirato sì per la sua intelligenza e la sua cultura, ma dotato anche di umiltà, umorismo e una rara capacità di ascolto. «Di Joseph Ratzinger - teologo, docente, Papa e Papa emerito - sappiamo molto a livello teologico e magistrale, ma poco sappiamo della sua umanità. Che uomo è stato Benedetto XVI?», chiede la cronista che, l’11 febbraio 2013, annunciò la notizia epocale della rinuncia papale alla tiara pontificia. Per rispondere, intervista chi lo ha conosciuto «da vicino».

Il parlare evangelico

Nel testo affiorano aneddoti, episodi e ricordi. Evocando vicende legate alla propria conoscenza personale di Benedetto XVI, gli interpellati raccontano «il quattordicenne esile e poco sportivo che macina una cinquantina di chilometri per ascoltare un concerto al festival di Salisburgo», «il professore che educava a una franca ricerca intellettuale», «il prefetto che impostava il lavoro in modo collegiale». Ma anche «il giovane perito che durante il Concilio raccoglie le firme per una petizione a Paolo VI», «il teologo che si diverte a visitare il museo delle carrozze», «il Papa capace di affrontare una gran quantità di impegni grazie all’organizzazione del tempo e al metodo di lavoro» e «l’uomo, informato e curioso, che negli ultimi tempi, in sedia a rotelle e la voce flebile, seguiva con un sorriso penetrante le conversazioni con i suoi ospiti».

Emergono, una pagina via l’altra, costanti cruciali della vita del pontefice bavarese: la teologia come incontro con Cristo per una esistenza felice; l’indicazione delle piccole comunità - dove si fa l’esperienza della fede intorno all’altare - quale via di essere Chiesa dopo la secolarizzazione; il rapporto fecondo con il mondo ebraico; la limpidezza delle sue parole (un parlare evangelico senza furbizie o infingimenti); i ponti gettati tra la Chiesa, la cultura e il mondo laico. Lo stile succinto della cronista scandisce il ritmo delle conversazioni, sgomitola il filo dei pensieri, segue la trama delle voci: da eminenti porporati all’usciere del Vaticano, passando per ex allievi diventati teologi sommi e operatori dell’informazione.

Riformatore, pastore e scrittore

Amicizia e gratitudine traspaiono nel colloquio con il cardinale Tarcisio Bertone. L’ex segretario di Stato, al quale Ratzinger aveva confidato che stava riflettendo sulla rinuncia al pontificato, rivela l’occasione in cui l’ha visto perdere la pazienza con monsignor Lefebvre.

Sottolinea, poi, la difesa dello spirito dei padri conciliari dai novatori a tutti costi, il silenzio dell’adorazione disteso sulle Gmg; la lotta alla pedofilia e agli abusi del clero; la grazia concessa al maggiordomo infedele; le telefonate quotidiane al fratello, in dialetto bavarese. Menziona l’affetto delle Memores e persino l’anziana portinaia del Palazzo dell’ex Sant’Uffizio: donna semplice e romana verace che talvolta pranzava con il Papa; pure dopo «le dimissioni», al Monastero Mater Ecclesiae.

Per Pierluca Azzaro, traduttore dell’“Opera Omnia” di Ratzinger, era un uomo mite, non un sovrano assoluto: «Sapeva che cosa è un pastore, difendeva il gregge, non ha confidato per nulla nel potere mondano». Mentre secondo il salesiano don Giuseppe Costa, dal 2007 al 2017 direttore della “Lev”, «scriveva best-seller, ma era distaccato dal denaro» e «avrebbe meritato la candidatura al Nobel per la letteratura». Dello stesso avviso, Elio Guerriero, tra i suoi biografi più accreditati: «Aveva una prosa che sconfinava in un afflato poetico».

Stefano D’Agostini e Fabrizio Stinellis, direttore e operatore del Centro televisivo vaticano, invece, indugiano su un cortocircuito comunicativo: il vescovo emerito di Roma era l’esatto opposto di ciò che appariva all’esterno delle mura leonine. La timidezza è stata scambiata per timore, la discrezione per disprezzo. Invero, mostrava rispetto per tutti. Entrambi rievocano le reiterate riprese di una sua giornata tipo, «rovinate» dai saluti del Papa; rammentano il volo in elicottero verso Castel Gandolfo e le potentissime immagini di due pontefici, uno accanto all’altro, inginocchiati in adorazione.

Un maestro abitato da Dio

I contributi raccolti da Chirri sbugiardano le contrapposizioni adombrate con Bergoglio, le polemiche artificiose e la pavidità di Ratzinger di fronte alle accuse provenienti dalla Germania di avere, da arcivescovo di Monaco, coperto un prete pedofilo. Quando, viceversa, a 95 anni e fragilissimo si è detto disposto a deporre. Tutti confermano l’intuizione dell’autrice: il Papa emerito è stato frainteso, vivendo in un mondo insincero, disabituato a parlare in modo veritiero. Eloquenti ed emblematiche, infine, le risposte scodellate da padre Stephan Horn e dal teologo Achim Buckenmaier, membri del Schülerkreis (il Circolo degli allievi di Ratzinger).

Il primo confessa: «Non era completamente soddisfatto di una lezione fino a quando non arrivava il momento in cui gli studenti appoggiavano la penna e lo guardavano: così poteva sentire che la sua parola aveva toccato le loro menti e i loro cuori». Similmente, il secondo confida: «In lui ho sperimentato una persona che “abitava in Dio”, e le cui qualità umane potevano quindi avere tanti frutti, molti effetti buoni, per la Chiesa e per le singole persone che lo hanno incontrato. Da qui anche la sua gioia interiore, nonostante problemi e limiti».

Un servo di Dio e della Chiesa; una guida spirituale per un miliardo di fedeli; un uomo dal tratto gentile, pronto al dialogo ma anche alla discussione rigorosa; chiosa padre Federico Lombardi, già portavoce di Benedetto XVI e ora, su impulso di Francesco, presidente della Fondazione Ratzinger.

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