Björn Larsson: «Le mie riflessioni sull’essere umano raccolte in un saggio»

Intervista Questa sera alla Fiera del libro di Como l’atteso incontro con lo scrittore e filologo svedese

Appuntamento d’eccezione, questa sera (sabato 31 agosto), alle 21, per la Fiera del libro, a Como, in piazza Cavour. Sul palco, in dialogo con Massimo Baraldi, ci sarà il celebre scrittore svedese Bjorn Larsson, che parlerà sul tema “Come un romanziere diventa saggista”. L’incontro è promosso dalla Libreria La Ciurma. Un’occasione preziosa per incontrare il romanziere, filologo, traduttore, nonché filosofo svedese. L’incontro sarà ad ingresso libero.

A Como, lei parlerà di come un romanziere diventa saggista. Quando e perché ha sentito l’esigenza di esplorare anche questo ambito di scrittura?

Non è la prima volta che scrivo un saggio. “Bisogno di libertà” ne è uno per esempio. Ho anche scritto tre libri di linguistica e critica letteraria, però in francese, e tanti articoli sui temi diversi. Si dimentica spesso che sono anche stato professore e ricercatore all’università, non “soltanto” uno scrittore. Il nuovo libro, comunque, è una sintesi di una vita di riflessioni sull’essere umano, più vasto di scopo che gli altri è anche più scientifico/filosofico.

Nel saggio “Essere o non essere umani” lei parla della specificità dell’essere umano di diventare quello che è. Una condizione innata e istintiva o soggetta a rischi e a involuzioni?

Non è possibile riassumere la mia argomentazione senza semplificare troppo. Il punto di partenza è che la specificità dell’essere umano, di homo sapiens, è dovuta a una scoperta in fondo semplice, che una cosa, qualsiasi cosa, qualsiasi gesto o suono, può rappresentare qualcos’altro. Questo scoperta, o invenzione, cioè la rappresentazione simbolica arbitraria, ha creato un altro mondo, quelle dei simboli e del significato, incluso il linguaggio, che ha aperto le porte all’immaginazione, alle credenze, alla scienza, alla matematica e ad altre facoltà specificamente umane.

Pensa che i progressi tecnologici siano un pericolo per l’umanità? Per esempio l’intelligenza artificiale...

Impossibile dare una risposta fondata a questa domanda, che richiede di potere prevedere profeticamente il futuro. Direi comunque che dipende come noi usiamo la tecnologia: per costruire armi sempre più letali o per proteggere l’ambiente. Un esempio è l’intelligenza artificiale… che non è “intelligente” per niente, piuttosto è stupida. L’IA può servire a raccogliere dati, però non può giudicare, distinguere fra il vero e il falso o cambiare le regole. Può giocare a scacchi, però non può dirci come amare o dare un senso alla vita, né come metterci d’accordo sulle regole del gioco degli scacchi.

Viviamo in un periodo difficile per la difesa dei diritti e della pace. Possiamo dire che sarebbe necessario un nuovo “umanesimo”?

Non penso che viviamo in un periodo più difficile per i diritti umani rispetto al passato. Abbiamo spesso la memoria corta: quarant’anni fa c’è stato lo sterminio in Rwanda, c’erano dittature in Grecia, Portogallo e Spagna, la guerra civile in Irlanda del Nord e nel Jugoslavia. Milioni di persone erano massacrate in Cambogia, per non parlare del comunismo totalitario nei paesi dell’Est. Per fare qualche progresso, bisogna, per prima cosa, trasformare il ”noi contro gli altri” in ”noi e gli altri”, cioè accordarci sul valore fondamentale del fatto di essere esseri umani, aldilà o oltre le differenze di fede, di genere, di nazionalità, del cosiddetta razza o altri ideologie. Quando sento i nazionalisti proclamare ”prima gli italiani” (o gli svedesi), vorrei sapere in che cosa consiste esattamente, concretamente, la specificità di uno o dell’altro gruppo. Uno stupratore, un piromane o un assassino non è meno “cattivo” perché è italiano (o svedese). Sarebbe assurdo.

La letteratura e la bellezza possono essere antidoti all’odio e all’intolleranza?

Penso di sì, anche se bisogna riflettere di più su quale letteratura e quale bellezza… E come viverle. Come cerco di spiegare nel mio libro, bisogna essere molto più precisi nell’uso delle parole e dei valori che ci sono associati. Ci sono tante parole, per esempio la letteratura o la cultura, che sono date positive per scontate. Però c’è anche una letteratura brutta o banale; il nazismo o la mafia sono anche esempi di “cultura”.

Lei è noto anche come narratore della grande avventura, del mare come metafora di libertà. Nel mondo globale esiste ancora questa dimensione dell’altrove?

Non mi piace essere definito come un romanziere di avventura… E di mare. La letteratura non ha bisogno di etichette di genere… O di bandiere. Per di più, l’avventura in sé non mi sembra molto interessante. Se uno pensa all’avventura come correre un rischio e saltare ostacoli, c’è l’imbarazzo della scelta: basterebbe andare a fare un giro a Gaza o in Donbass. Se un pensa all’avventura come la scoperta e la conoscenza di altri paesi e popoli, imparando la loro lingua, l’avventura c’è ancora.

Cinque anni fa, a Zelbio Cult, lei presentò “La lettera di Gertrud”, scritto cui ha fatto seguito “In nome del figlio”. Due ricerche tra biografia e autobiografia sempre in nome della libertà. Cos’è quindi la libertà per Bjorn Larsson?

Anche qui è difficile spiegare che cos’è la libertà in poche parole. Ho provato in “Bisogno di libertà” e ancora di più in “Essere o non essere umani”. Direi comunque che per essere libero bisogna avere una bella dose di realismo e lavorarci su. La libertà assoluta non esiste. Essere libero è sempre in rapporto con gli altri umani, non in rapporto con la natura. Mi piacerebbe volare, visitare altre galassie, però chiaramente non è possibile, tranne nell’ immaginazione… Che è già una bella libertà. La libertà, penso, è nella tensione tra realismo e immaginazione. Troppo senso della realtà, domani sarà come oggi. Troppa immaginazione e la realtà prenderà presto la sua rivincita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA