«Decifrare questa società: una sfida per noi giallisti»

Umberto Montin in libreria con il nuovo romanzo “Bruma serenissima”, ambientato a Venezia durante il lockdown. Protagonista “lo sbirro con l’eskimo” Martino Ribaud, come nei precedenti “A muso duro” e “Il sangue dei randagi”

Una Venezia cupa, avvolta nella nebbia e nelle piogge, ma soprattutto insolitamente deserta a causa del lockdown è lo sfondo della nuova fatica letteraria di Umberto Montin che, dopo una vita nel giornalismo, ha imboccato la via del giallo. Il suo nuovo libro – che fa seguito ai due ispirati alla figura dello “sbirro con l’eskimo” Martino Ribaud “A muso duro” del 2020 e “Il sangue dei randagi” del 2024 – è uscito da pochi giorni, si intitola “Bruma Serenissima”.

In una Venezia deserta per il lockdown, Sebastiano Faliero, funzionario della Mobile cacciato via dalla polizia, indaga sulla morte di una ragazza inglese trovata in un canale della città lagunare pochi giorni dopo le nozze con un immigrato clandestino. Faliero ha accolto la richiesta di un vecchio aristocratico veneziano, da cui è spesso ospite e al quale racconta storie e esperienze più o meno reali, che gli ha chiesto di aiutare la madre della giovane a far chiarezza sull’omicidio e sulla contemporanea scomparsa del coniuge. Indaga in una Venezia, diversa, orfana del turismo selvaggio e percorsa da fugaci cittadini nascosti dietro le mascherine sanitarie. “Bruma Serenissima” è stato pubblicato nella collana Giungla Gialla di Mursia.

La prima novità di questo lavoro è proprio la casa editrice.

Infatti. È un onore poter pubblicare con un editore del prestigio e della storia come Mursia. Sono contento che questa mia idea sia stata ben accolta e inserita in “Giungla Gialla” che ad oggi ha già in catalogo 44 titoli.

Questa collana ha, infatti, una caratteristica particolare, oltre a quella di essere consacrata al noir.

Il successo della collana è nella scelta di puntare sulla territorialità, entrando nel cuore della provincia e delle città italiane, una caratteristica che illustra al meglio le diverse sfumature del giallo italiano, un unicum nella letteratura noir mondiale. Nel mio caso, considerate le origini venete, “Bruma Serenissima” si sviluppa per intero a Venezia e in un momento particolare come quello del Covid con la chiusura dei centri urbani e la limitazione alla libera circolazione.

Una scelta non casuale, sembra.

Dagli studi di gioventù ho ereditato questa passione di inserire i racconti in una precisa dimensione storica. Ero partito da un’altra idea che poi ho così coniugato con una pandemia mai vista nella storia recente. Come nei miei gialli precedenti, cerco di sempre di offrire attraverso l’intrigo e il delitto, una o più chiavi di lettura del quotidiano e del sociale, delle nostre angosce, delle nostre paure, della violenza che permea la nostra società. Elementi che spesso nascono da virus ideali che inquinano le coscienze e proprio come il covid passano da uno all’altro, spesso infettando anche le persone che si ritenevano al sicuro dal contagio.

Quali sono questi virus?

I mali con i quali facciamo i conti ogni giorno: il razzismo, l’emarginazione, il disprezzo sociale, la paura del diverso, il complottismo, le tante pulizie etniche, la volontà di prevaricazione verso i più deboli, le farneticazioni ideologiche. Il tutto in un clima di violenza e indifferenza generalizzate che prendono origine da una società come quella odierna in cui siamo di fronte a una somma di individualismi egoistici che hanno la meglio sulle solidarietà collettive.

Una Venezia molto diversa dall’immagine di una città unica che ci viene trasmessa.

Questa mia Venezia, per fortuna, esiste solo in “Bruma Serenissima”. Tanto i veneziani sono solari, accoglienti, abituati da secoli ad essere aperti al mondo e a incontrare le civiltà più diverse, quanto in questo noir emerge un’umanità dominata dal rancore, dal timore dell’altro, dal sospetto diffuso. Un clima che la pandemia ha esasperato. Ma, come voglio dimostrare, le pandemie possono essere anche altre, quelle mentali, che sbucano fuori dagli antri nascosti e meno confessabili dell’animo umano. Il lettore incontrerà inoltre una Venezia che alla distopia associa un tratto metafisico con atmosfere che riportano al Corto Maltese di Hugo Pratt.

Rispetto ai romanzi precedenti, troviamo personaggi tutti nuovi e diversi. A cominciare dal protagonista.

È un personaggio particolare: ex poliziotto, espulso per aver preso a pugni un questore, Sebastiano Faliero è un nomade giramondo che trova spesso accoglienza nelle case di persone abbienti ai quali racconta storie vissute o inventate. “Un cacciatore di ombre” viene definito perché nell’indagine cerca di chi è assente, persona o indizio, si concentra sui lati oscuri, più celati. In questo caso, un nobile che ha aperto le porte del suo palazzo a Faliero gli chiede di capire come e perché una giovane inglese sia stata uccisa subito dopo le nozze dal marito. Marito sparito in una Venezia piena, appunto, di assenze.

Numerose anche le figure femminili attorno a Faliero.

Sì, a partire dalla conturbante compagna del protagonista, Cristina, ricca, giovane e annoiata che da lontano consiglia e guida Sebastiano. Ma troviamo altre donne, ambigue o coraggiose, perfide o indifferenti verso un mondo corrotto che si scopre esasperato in questa dimensione storica imprevista.

Lo sbirro con l’eskimo, la Lombardia e il lago di Como sono stati messi da parte. Torneranno?

Torneranno. Martino Ribaud, il suo passato con cui non ha mai chiuso i conti, il suo sentirsi ai margini dell’oggi conscio però di essere fra i pochi che ne colgono le contraddizioni profonde. Tornerà nella Como che ama che però ha un ventre oscuro. Molto oscuro.

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