Lo scrittore Montin e il romanzo del potere (cinico)

Narrativa L’autore riporta in libreria il suo “sbirro con l’eskimo” per “Il sangue dei randagi”. «Il mio intreccio ci conduce a Parigi, tra i fuggitivi italiani»

Un romanzo sul cinismo del potere che spesso inganna i cittadini, anche quelli che pensano di essere più furbi e che sono mossi da ideali che ritengono incrollabili. “Il sangue dei randagi” scritto dal giornalista Umberto Montin è un poderoso lavoro di 562 pagine, edito da Robin Edizioni, che attraverso la trama gialla alza il sipario su un momento importante della recente storia d’Italia, ma di cui si parla poco e pare essere quasi dimenticato: gli “anni di piombo” o per dirla con Erri De Luca, gli “anni di rame”.

A raccontarne la complessità attraverso un intrigo criminale, è la voce di un poliziotto, Martino Ribaud, lo “sbirro con l’eskimo” che fu già protagonista del libro “A muso duro” dello stesso autore e che, nel 2012, si trova ad affrontare indirettamente un caso a dir poco misterioso: una signora della Ferrara bene uccisa in un appartamento a Bologna. Quella donna Martino scoprirà presto di averla conosciuta molto bene, ma... in una vita passata che sembra essersi dissolta, per la vittima (è Mirella quando la trovano senza vita e Mirta quando conosceva il non ancora poliziotto Martino), in maniera incomprensibile. Come è possibile?

Teatro degli eventi

È proprio a questo punto che il giallo intreccia una trama complessa che non si sfilaccia mai, nonostante sulla strada di Martino camminino tanti personaggi diversi e nonostante il teatro del dipanarsi degli eventi sia più di uno. L’indagine per scoprire chi ha ucciso Mirella/Mirta tocca Como, Ferrara, Parigi, Bologna, Milano e il Veneto (tutti luoghi del cuore che hanno avuto tanta parte nella vita dell’autore) e regge una storia che trae spunto da fatti reali di latitanti della contestazione e dalla “dottrina Mitterand” che garantì protezione a quanti, accusati di terrorismo, nei primi anni Ottanta fuggirono dall’Italia a Parigi.

«L’idea mi è sorta ripensando alla storia di Cesare Battisti– spiega Montin –, ma il mio romanzo non ha nulla a che fare con quella vicenda. Così, da appassionato di storia, mi sono messo a rintracciare gente che era scappata in Francia per cercarvi riparo dopo aver commesso piccoli attentati in quegli anni o per la paura di essere perseguiti dalla giustizia per la semplice militanza o per l’attività di propaganda che avevano svolto. A centinaia sono stati processati e assolti o addirittura prosciolti dalle accuse e si sono ricostruiti una vita in Francia tra difficoltà e paure, ma sempre coperti dalla dottrina di Mitterrand».

Ne “Il sangue dei randagi” Montin ha intrecciato scenari storici con la finzione e nella trama gialla non ha mancato di inserire richiami alle relazioni umane e a quelle sentimentali che, anche se in modo indiretto, condizionano la vita di Martino Ribaud.

«Martino, seppur poliziotto, ricorda sempre quell’ambiente di rivoluzionari e quando gli capita di indagare sull’omicidio, capisce subito di avere a che fare con una vittima che lui conosceva bene, ma con un altro nome. A quel punto si sviluppa un intreccio con Parigi, dove l’uccisa era finita agli inizi degli anni Ottanta, fuggendo da Bologna, sognando di poter fare la rivoluzione. Nel mio noir viene messo in risalto il cinismo del potere, mescolando le vicende di chi allora era vissuto a Parigi, da fuggitivo, e poi è rientrato in Italia, di chi muore ammazzato, dei poveri cristi che si sono trovati coinvolti in situazioni complicate, di quelli che hanno sparato e di chi ha sfruttato e tradito gli ideali per farsi gli affari propri. Mi sono documentato, in un lavoro che mi ha impegnato qualche anno, sulle politiche di Mitterrand il quale, con un calcolo molto spregiudicato, accogliendo gli estremisti italiani e difendendoli dai giudici italiani, ha voluto lanciare un messaggio interno ai suoi terroristi, quelli di Action directe, per scongiurare il deflagrare della lotta armata in Francia. La politica di Mitterand serpeggia nel mio libro e mi ha aiutato a dire al lettore: attenzione, il potere è spietato, a qualsiasi latitudine e di qualsiasi colore politico. Dice “ti uso in nome dell’ideale e della libertà, ma ti uso a fini geopolitici che servono a me, per conservare me stesso”».

Le tante donne

Su questa complessa orditura si innesta, conclude Montin, il ruolo delle tante donne del romanzo: «Martino ha sempre una donna che gli crea problemi, in questo caso una è la vittima che lui non capisce perché abbia cambiato identità e chi lo abbia fatto per lei, ma ce ne sono molte, alcune molto cattive, altre fra i “buoni”, determinate e politicamente scorrette o anche violente. Non mancano i personaggi legati al Comasco - un morto a Mandello -, ma anche richiami all’oggi e al problema dell’immigrazione clandestina e dei peggiori traffici criminali». Una cavalcata, nera, al galoppo nella storia contemporanea.

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