Françoise Hardy, la ragazza che tutti aspettavano

Costume La scomparsa della cantante francese riporta a un’epoca in cui fu lei più di ogni altra a incarnare alla perfezione il cambiamento in corso

Per Elvis Presley tutto cambiò quando andò in onda su scala nazionale all’Ed Sullivan Show, il 9 settembre del 1956 e tutta l’America si accorse, definitivamente, di lui. Per i Beatles la fama arrivò grazie allo sbarco negli Usa che avvenne a pochi mesi dall’assassinio del presidente Kennedy, restituendo allegria e speranza ai ragazzi di una nazione ferita e disillusa.

Per il nostro Adriano Celentano la svolta arrivò grazie al Festival di Sanremo, quando osò presentarsi di spalle, «mancando di rispetto al pubblico», per garantire un inizio indimenticabile alla sua “24mila baci”. Tutti i grandi artisti hanno un “breaking point”, quel momento in cui la loro carriera ha spiccato il salto.

«Troppo malinconica»

Françoise Madeleine Hardy aveva già inciso qualche canzone tra cui “Tous les garçons et les filles”, inizialmente passata inosservata e relegata a un lato B: secondo la sua casa discografica, la Vogue, era «troppo malinconica» per piacere a... tutti i ragazzi e le ragazze della sua età. Ciò nonostante il regista Pierre Badel girò un videoclip ante litteram del brano su richiesta esplicita della chanteuse che, al contrario, ci credeva tantissimo. Venne trasmesso in un programma televisivo, piacque, ma non suscitò ancora il clamore sperato. La sera in cui tutto cambiò fu quella del 28 ottobre del 1962: tutti i francesi erano in spasmodica attesa dei risultati del referendum costituzionale sull’elezione diretta del presidente della Repubblica, un evento che avrebbe cambiato per sempre la storia del Paese. Durante uno dei tempi morti della trasmissione televisiva che accompagnava lo spoglio, il filmato venne ritrasmesso ed ecco nascere il fenomeno Françoise Hardy.

Un fenomeno globale, incontenibile. Quella ragazza parigina, ventenne, era semplicemente perfetta, come lo erano i Beatles, era quella che tutti i ragazzi e le ragazze della sua età stavano aspettando. Era bella, bellissima, di una bellezza austera, non ostentata. Aveva uno stile tutto suo ed era una trend – setter (nessuno usava ancora quel termine, sicuramente non in Francia dove si rifiutano di chiamare computer l’ordinateur). Tutte ne imitavano lo stile, l’acconciatura, il suo fisico filiforme era lontano dal modello di bellezza burrosa imposto da B.B., ma non era in conflitto.

Per lei disegnavano stilisti come André Courrèges, Yves Saint Laurent e Paco Rabanne (fece epoca l’impressionante abito metallico dal peso di quasi 40 chili). Tutti i fotografi volevano ritrarla (tra tutti Jean – Marie Périer, il suo primo grande amore), tutti i cantautori volevano scrivere per lei (tra tutti Jacques Dutronc, l’amore della vita, sposato dopo tanti anni nel 1981), ma lei sapeva fare anche da sé.

Perché Françoise, figlia illegittima di un padre che non si era mai occupato troppo di quel pezzo della sua famiglia, cresciuta dalle suore, timida e sensibile, era soprattutto piena di talento. Aveva una voce duttile, non robusta, ma inconfondibile. Suonava la chitarra e soprattutto componeva: se nella sua carriera ha inciso diverse canzoni di altri autori e ha cantato, in francese, Leonard Cohen e Bacharach, la Mina di “Se telefonando” e il Celentano de “Il ragazzo della via Gluck”, nella maggior parte dei casi scriveva testi e musiche. E che testi, davvero specchio dei tempi, la fragilità dell’amore (non basta essere belle e celebri per essere felici), la solitudine.

Stile

E che musiche: ricche negli arrangiamenti e sempre al passo con i tempi, dallo “yé yé” delle origini al pop sofisticato, senza disdegnare qualche piccola incursione nel rock per poi maturare, via via, uno stile personalissimo. Certo, nell’immaginario resta la ragazza degli anni Sessanta, con la frangia e la giacca scamosciata, dallo sguardo sicuro e dalla bocca che non indulge quasi mai a un sorriso. È stata molto di più. È stata attrice per Vadim, per Frankenheimer (il celebre “Grand prix”), per Godard e Lelouch mentre in Italia le abbiamo fatto interpretare solo degli insulsi musicarelli. Ah, l’Italie!

In queste ore tanti l’hanno osannata, ma andrebbe ricordato che appena esplose il suo fenomeno, la Rai le dedicò una trasmissione - “Chez Françoise Hardy”, regia di Enzo Trapani – dove la giornalista Enrica Cantani afferma che la cantante «è il simbolo dei trionfanti giovani d’oggi, quei giovani che con le canzoni e le chitarre stanno compiendo una rivoluzione», ma, attenzione: non si tratta di un complimento. Quei ragazzi sono le cicale, che perdono tempo cantando e suonando, mentre le formiche, la gente per bene, manda avanti il Paese. Prima domanda: «Una cosa strana, Françoise... Tutti quelli che abbiamo interpellato le hanno dato zero in umanità, come mai?». E via così, seguendo il copione utilizzato anche per i fenomeni giovanili nostrani, visti con condiscendente bonomia da una generazione certa che, tutti i ragazzi e le ragazze della sua età avrebbero messo la testa a posto. In realtà i tempi, come ammoniva un ammiratore della Hardy, stavano davvero cambiando e tutti i ragazzi e le ragazze della loro età se n’erano accorti.

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