«I confini dei territori sono concetti astratti»

Lo scrittore Marco Belpoliti e il suo libro dedicato al Nord, inteso come bussola sentimentale e poetica. Dopo “Pianure”, un secondo capitolo per quella che, a detta dell’autore, «può svilupparsi in una trilogia»

Scrittore, saggista, docente universitario, direttore editoriale, curatore delle “Opere complete” di Primo Levi e di “Calvino A-Z”. Marco Belpoliti è questo e tanto altro. Per esempio è una persona che ha la capacità di sapersi meravigliare, animato da un moto curioso che lo spinge ad affrontare e ad approfondire i temi più disparati, dalla cartografia alla fotografia. Alla domanda: «Qual è stata la scoperta più sorprendente durante la stesura del suo ultimo libro?» Ha risposto: «Le salamandre».

Belpoliti, “Nord Nord” può essere considerato come una seconda puntata di “Pianura” uscito nel 2021?

Un secondo capitolo, pur essendo un libro autonomo, l’idea è di scrivere una trilogia, se ci riesco. In sostanza si tratta di continuare un discorso intorno ad alcune questioni che mi riguardano, sia in senso biografico sia geografico.

Una tecnica che Barenghi ha definito autotopografia (non il racconto della propria vita, ma il racconto dei luoghi vissuti), mentre Recalcati eterobiografia (visto che parla poco di sé e molto di altri). Di cosa si tratta?

É una narrazione in seconda persona, mi rivolgo a un “tu”, un discorso che avviene, e in questo contesto emerge una sorta di autobiografia, anche se l’io in qualche modo è nascosto. Bartezzaghi per descriverlo ha utilizzato una metafora, ha parlato di “un’ombra”, un elemento che si intravede, ma che non domina. La mia intenzione non era raccontare me stesso, ma raccontare storie che mi riguardano. Quando uno scrive, anche in terza persona, in qualche modo si tratta sempre di qualcosa di autobiografico, ogni scrittore mette qualcosa di sé nelle sue opere. La mia presenza c’è, ma non è al centro.

Un po’ come in quegli scatti dove si vede anche l’ombra del fotografo?

Quando le macchine Kodak furono lanciate in America all’inizio del Novecento, le persone, sorprese nel vedere le loro ombre nelle foto, si affascinavano di questa presenza indiretta. Non esistevano ancora i selfie, e la fotografia non era focalizzata su di sé, ma piuttosto su paesaggi o ritratti, con l’ombra del fotografo che rimaneva un dettaglio silenzioso e iniziale. Un gesto che riflette l’idea di parlare di sé attraverso gli altri, il raccontarsi indirettamente.

Lei scrive: «Il Nord è solo un’idea, un fatto cangiante, qualcosa di relativo e perfino di elusivo», il Nord esiste?

Il concetto di “Nord” non corrisponde mai esattamente a un polo geografico o personale, c’è sempre qualcuno più a Nord di te. La percezione del Nord è mediata dalla nostra cultura, dalle nostre idee e dalle relazioni con gli altri. Un esempio interessante lo troviamo nel processo di definizione delle regioni italiane, subito dopo l’Unità d’Italia. Due risorgimentali, Maestri e Correnti, incaricati di tracciare i confini delle regioni, non erano né geografi né statisti, e la loro divisione, che seguiva tracciati antichi dell’epoca di Augusto oppure i profili delle montagne, non corrispondeva perfettamente alla storia e alle realtà territoriali. Nonostante ciò, questi confini furono inseriti nella Costituzione del 1947, i geografi l’hanno un po’ contestata, sostenendo che l’Italia è molto più complessa. La Lomellina, le Langhe, la Brianza, ci sono territori che hanno storie geografiche, politiche, economiche e religiose che non corrispondono ai confini regionali. Per esempio Mantova è più Emilia che Lombardia, Piacenza è più Lombardia che Emilia, Cremona pur essendo un territorio a sé, è stata inglobata in una regione che non riflette la sua identità storica. Questo tema di confini e territori è il substrato ideologico-geografico del mio libro, che esplora come i concetti di “Nord” e “confini” siano flessibili e complessi. Il fiume Drava, che nasce in Val Pusteria e si unisce al Danubio per sfociare nel Mar Nero, mette in discussione la percezione di Nord e Sud, Est e Ovest, poiché il Mar Nero ha una storia intricata che sfida le categorie tradizionali di orientamento geografico. Il Mar Nero era chiamato così dai Turchi, che lo consideravano il “mare del nord”, mentre il Mediterraneo era il “mare del sud”. La percezione dei confini, dei luoghi e delle direzioni è sempre soggettiva e culturalmente costruita.

A febbraio è stato alla libreria Libooks di Cantù per presentare, dialogando con Mario Porro, il suo ultimo libro dove scrive: «Nello stemma della città di Cantù, ci sono una torre e un cane che s’erge sulle zampe posteriori con la lingua fuori di colore rosso, alto pari al torrione. Un dettaglio decisivo: il collare che evidenzia la sua natura non libera di canide».

Una rappresentazione che riflette il ruolo dei feudatari che dominavano i territori e utilizzavano emblemi e scudi per marcare le loro proprietà. Questi simboli volevano forse trasmettere l’idea di un feudo come un “cane fedele” al proprio signore, un concetto che è rimasto radicato nel tempo senza suscitare oggi particolari sorprese, come se fosse naturale che il cane avesse il collare. Per secoli l’Italia è stata sotto il dominio dei feudatari e dello Stato della Chiesa, descritta nella famosa canzone come “serva”. A un certo punto, però, ha rialzato la testa per rivendicare i propri diritti e liberarsi dall’autorità di imperatori, re e stranieri.

Qual è stata la scoperta più sorprendente durante la stesura di “Nord Nord”?

Le salamandre. Salamandre che ho scoperto dopo un po’ di anni che vivevo a Mondonico, vicino al torrente Molgora, che tutti chiamano “il Valle”. Sono molto difficili da vedere, ne ho trovata una schiacciata da un’automobile sulla strada che costeggia il torrente. Una strada non asfaltata, fatta di sassi e qualche tratto di cemento. Sono rimasto basito di fronte a questo animale, di cui avevo visto alcune foto e letto nei libri, è di una bellezza incredibile e di un colore straordinario.

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