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Martedì 04 Febbraio 2025
Il Joker di Ledger. Anche la follia merita gli applausi
Un’analisi sul grande attore australiano miglior interprete nel ruolo dello spaventoso pagliaccio. Cosa rimane dopo 15 anni da quella rappresentazione?
Cosa rimane, a distanza di quindici anni, di quel tuffo nella follia di cui Heath Ledger ci fece regalo? Cosa rimane di quell’interpretazione così viscerale e di quell’ilarità goliardica scolpita tra le carte dell’assurdo?
All’inizio c’era un ragazzo dal faccino angelico che fece innamorare le ragazze di ogni dove con il classico teen movie “Dieci cose che odio di te”, poi un attore che scopre le proprie potenzialità ne “I segreti di Brokeback Mountain’’ e alla fine un’artista che, come un insetto nella sua cupola d’ambra, entra in simbiosi totale con il suo personaggio.
Rivoluzionario
Perché Ledger fu grande non solo nella delineazione del personaggio, ma anche nel confronto con il passato che questo personaggio aveva. Il Joker del “Batman’’ del 1989 (Tim Burton), interpretato da Jack Nicholson, ci dava la rappresentazione di un pagliaccio brillante, dall’ironia confinante alla malizia, ma pur sempre in una sua coerenza schizofrenica.
In tutto ciò che faceva c’era un’autorappresentazione, una volontà d’esser riconosciuto come paranoicamente bizzarro. E tutto ciò destava in noi un sorriso, perché anche noi partecipanti di quella folla entusiasta che gli si avvicinava invocando il denaro che lanciava dal suo carro con il quale stava avvelenando la città sotto le note di Prince. Il gesto, nella sua totale sfrontatezza e dissennata ilarità, mirava alla radice della civiltà: il denaro. Quel denaro che da chiunque e in qualunque modo venga erogato, sempre sarà ben accetto. Nessuno è intimorito, poiché il fine è coperto dal mezzo e quell’uomo, nelle sue dissacranti provocazioni, non fa paura.
Nicholson commentò la sua performance come una rappresentazione teatrale della Pop Art. Un arlecchino sfrontato e goliardico, cimentato tra deturpazioni artistiche e allitterazioni verbali. Genio pubblicitario e ironico come Warhol. Insolente, provocatorio, commerciale, dalle movenze ai colori luminosamente appariscenti del volto. Con Ledger le carte in tavolo cambiarono. E Ledger riuscì a rubare a uno dei più grandi attori uno dei più grandi ruoli. Non più risate limitrofe e interposte nella proposizione, ma uniche e assordanti in una maschera di tic e sillabazioni di sguardi. Non più giocose allitterazioni: «Danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio?», ma inquietanti storie sconnesse di un passato nel quale si ha la libera scelta di interpretare il proprio dolore.
Ne sono esempio le variabili interpretative delle cicatrici. Quasi a rimandare ai possibili mondi narrativi di Eco. Nonostante il “make up’’ sia stato studiato insieme a John Caglione Jr., Ledger non si faceva truccare prima di entrare in scena, era lui stesso che si spargeva quella tinta logora sul volto, maldestramente, con le mani tremanti, per via del sonno che aveva perso al fine di entrare nel personaggio. Il risultato del viso è un’essenza torturata. Non c’è storia di questo individuo, che per tutto il film confina Batman a un investigatore “Hard Boiled’’, e si guadagna ogni inquadratura, scena e sequenza. Quando non c’è si spera che arrivi, e quando c’è vorresti che non sparisse mai. Il Joker di Ledger non distribuisce soldi alla gente, perché rispetto alla pop art, la cui commercialità è senza eguali, lui è più avanti sul percorso, e i soldi li brucia.
Vecchio e nuovo
Il Joker di Nicholson aveva una storia e un nome, Jack Napier, e addirittura era stato capace di provare desiderio sessuale (fu infatti amante della donna del suo capo, Grissom); il Joker di Ledger ripristina la propria essenza di “The Man Who Laughs’’ (Paul Leni), da cui nacque l’idea del personaggio. Nessun nome o storia, nessuna emozione all’infuori dell’odio smodato e irrisorio. Un uomo che ride, poiché consapevole dell’inevitabile assurdità del tutto, la quale simmetria si configura nel pons asinorum del Bellum omnia contra omnes.
Ledger riprende gli studi dal corpo umano di Francis Bacon: la carne umana fetida in quanto “potenziale carcassa’’. (Nella sequenza in cui Ledger filma la sua vittima, l’adulatore di Batman, si intravedono sullo sfondo carcasse di carne appese al soffitto). Se Bacon intravide nel massacro degli innocenti di Poussin «il miglior grido umano mai dipinto» tra le gote di una madre che cerca freneticamente di salvare il figlio, Ledger vide nella carne di Bacon la più esilarante conclusione dell’epopea umana, e la trasformò in riso. Un personaggio che non conosce limite, perché ha già superato il limite del giorno, dove «la follia è l’uscita di sicurezza dal passato» (Batman: The Killing Joke). Un “uomo’’ che vuole distruggere per dimostrare che il costume o quant’altro non è niente se non limite.
«Ho dimostrato che non c’è differenza tra me e chiunque altro! Basta una giornata storta per trasformare il migliore degli uomini in un folle. Ecco quanto dista il mondo da me. Una giornata storta». Una giornata storta. Il lamento soffocato, l’incomprensione maturata, la rabbia liberata. E così, anche il paladino di Gotham, potrà diventare come tutti gli altri, come tutti noi.
Non c’è bisogno di piani o teorie, ma di smodata pazienza, prima che il corso degli eventi, il moto costante dell’esistenza, l’evoluzione, compia il suo corso. Charles Decker (Ossessione, King-Bachman) le attribuiva il nome di terminatore. La linea di demarcazione fra luce e tenebre. Secondo Charlie, camminando su quel limite, la vita ha l’assurda componente schizofrenica di una moneta lanciata in aria. La stessa moneta che, sembra un caso, Il Joker mostrò a Dent. E così, nel sorriso sfregiato e dipinto a mano di Ledger, vi è quella distanza tra noi in atto e noi in potenza. Tra il noi accettato e il noi represso, che aspetta solo la giornata storta per esplodere.
Il successore di Ledger, Joaquin Phoenix, offrì un’interpretazione diversa del Joker. Un uomo solo, emarginato, sfottuto. Uno schizofrenico loser americano malmenato e deriso. Vi era, nella sua interpretazione, il desiderio di farci provare empatia per una follia che, verrebbe da pensare, può derivare dagli abusi e dai dolori che l’esistenza comporta.
Il suo Joker era reazionario, uomo del popolo che da solo affronta l’elitè facendosi carico del malessere popolare. La sua rivalsa è giustificata, a tratti non così diversa dal recente gesto di Luigi Mangione. Una solitaria vendetta contro i poteri forti a sfondo noir ma con tratti comici. L’iconica scena del ballo sulla scalinata è debitrice infatti, per colonna sonora (Rock’ n’ Roll part Two, Gary Glitter) e movenze, a un episodio di The Office nel quale Michael Scott, assuefatto dagli zuccheri, balla sopra la propria scrivania sotto le note dell’iconica canzone.
La follia di Phoenix è una rabbia sociale degenerata, quella di Ledger intrinseca, epiteliale e misteriosa. Forse innata, forse inspiegabile. L’origine è sconosciuta. Ecco perché il suo volto, a distanza di quasi vent’anni, ci continua a stupire e interrogare. Da dove nasce, veramente, il male?
La lucida visionaria follia Di Rotterdam ha cessato d’essere lucida, superando il terminatore tra la maschera e il trucco, concedendoci una manciata di sguardi e movimenti provenienti dall’aldilà. Da ciò che sta fuori. Da ciò che è stato superato. È un caso che Nolan filmando la scena dell’interrogatorio tra Batman e Joker abbia utilizzato la tecnica dello scavalcamento di campo, volendo superare il raccordo dei 180°?
Alda Merini scrisse che «Anche la follia merita i suoi applausi». Da quindici anni a questa parte, per una delle più grandi interpretazioni nella storia del cinema.
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