La matematica
modifica l’inconscio
con Leo Perutz

Libri L’analisi del romanzo“La terza pallottola” capolavoro del grande scrittore austriaco Un testo in cui l’anima incontra davvero l’esattezza

Quando si parla della letteratura austriaca sorta a margine (e per molti versi a causa) del tramonto e del crollo della Monarchia asburgica, il nome del praghese di nascita ma viennese d’adozione Leo Perutz figura quasi sempre tra i comprimari e non viene mai paragonato ai grandi interpreti e protagonisti, come ad esempio Musil, Hofmannsthal, Schnitzler e Broch.

Il che ha probabilmente una giustificazione, perché in effetti Perutz – del quale Adelphi ha da poco proposto il romanzo d’esordio “La terza pallottola”, pubblicato nel 1915 – non ha scritto un’opera enciclopedica ed epocale come “L’uomo senza qualità” oppure “I sonnambuli”. Rimane pur sempre il fatto che il capolavoro della narrativa di Perutz, “Tempo di spettri”, un romanzo semplicemente straordinario, pubblicato nel 1928, merita di essere annoverato tra le vette della prima metà del Novecento letterario.

Un grande epigono

Di origini ebraiche e saldamente radicato nella tradizione, ma contrario al sionismo e ad ogni forma di nazionalismo (nel 1947, un decennio prima di morire, giudicò negativamente la nascita dello Stato di Israele), Perutz è stato insomma più un epigono che un protagonista. Però è stato un grande epigono, nel senso che Thomas Mann dava alla parola, attribuendole il valore della testimonianza e insieme della presa di coscienza. Forse non ha interpretato e rimodellato in tutta la sua abissale profondità la scomparsa di quello che Stefan Zweig ha poi definito il “mondo di ieri”, ma certo ha saputo descriverla con estrema limpidezza, servendosi con assoluta maestria di robuste e consolidate forme narrative ottocentesche, magistralmente rilette con penetrante e incisiva sensibilità novecentesca. Lo scrittore che gli è maggiormente affine, da questo punto di vista, è Alexander Lernet-Holenia, che fu suo amico e “discepolo” (secondo le sue stesse parole), curò la pubblicazione postuma dell’ultimo romanzo, “Il Giuda di Leonardo”, e condivide con Perutz anche il destino della riscoperta in lingua italiana prevalentemente da parte di Adelphi.

Non bisogna inoltre dimenticare che Perutz, matematico e statistico per studio e formazione (la cosiddetta “equivalenza di Perutz” è una formula matematica che venne utilizzata a lungo nel calcolo attuariale), è stato un freudiano “malgré lui”. Perché i letterati viennesi, nei primi decenni del secolo scorso, erano tutti direttamente o indirettamente freudiani: la psicanalisi, infatti, poteva fiorire e prosperare soltanto nella Vienna di quegli anni, definita da Karl Kraus “esperimento del mondo” (ma è molto bella anche la definizione di Albert Ehrenstein: “stazione meteorologica della fine del mondo”), con le dottrine di Freud che facevano quasi parte della composizione chimica dell’aria e venivano trasposte e rimodellate nelle opere narrative e teatrali, nonché in altri ambiti della creazione artistica.

Commistione dei generi

Non si esagera dicendo che Perutz, insieme a Schnitzler, è stato con ogni evidenza il più freudiano dei freudiani, per certi versi addirittura più freudiano di Freud, perché più gelido, impietoso, quasi disumano, capace di restituire le intuizioni della psicanalisi in altissime figurazioni artistiche, rendendole terribilmente concrete e “popolari” nell’accezione più nobile del termine. Oltre al già ricordato “Tempo di spettri”, Adelphi ha pubblicato molti titoli di Perutz, tutti di grandissimo spessore: romanzi scritti in punta di penna e di godibilissima lettura, come “Il marchese di Bolibar”, “Dalle nove alle nove”, “Il cavaliere svedese” e “Turlupin”, solo per citare alcuni esempi, ai quali bisogna necessariamente aggiungere il tardo e possente “Di notte sotto il ponte di pietra”, uscito in lingua originale nel 1953 e proposto in versione italiana da e/o.

Non è quindi questione di classifiche o graduatorie, perché la produzione di Perutz è tutta di un livello molto alto, ma se proprio si volesse individuare il momento fondante e originario, se non altro per l’eccezionale e riuscitissima commistione dei generi (commedia nera e giallo metafisico, rievocazione storica e scavo psicologico, leggerezza descrittiva e prodigiosa capacità di scendere nel melmoso e fanghiglioso cuore di tenebra della condizione umana), la scelta non potrebbe che cadere su “La terza pallottola”, anche perché è il suo primo romanzo e contiene e prefigura le suggestioni e i temi che torneranno poi, variamente declinati e modulati, in tutte le opere successive. Ci sono stati esordi folgoranti come quello di Perutz, ma non sono tantissimi.

Come tutti i grandi scrittori, insomma, anche Perutz nasce grande con questo romanzo ricco di suspense e sapientemente costruito a strati: sulla base, formata da una narrazione storica apparentemente lineare e oggettiva, si innesta un elemento onirico-fantastico molto marcato, che assume pagina dopo pagina una connotazione latamente metafisica e soprattutto “perturbante” nel significato freudiano del termine (la sensazione di angoscia e paura al cospetto dell’estraneità di ciò che appare noto e familiare) e infine sfocia in una pura allucinazione che per certi versi ricorda la “crudeltà” di Artaud oppure Kafka.

Un modello per Borges

Il preciso sfondo storico è rappresentato dall’assedio spagnolo di Tenochtitlán in Messico, mentre il protagonista è il nobile Franz Grumbach, un conte tedesco bandito da Carlo V per la sua fede luterana e rifugiatosi nel Nuovo Mondo, dove combatte i conquistadores al fianco degli indios. Si tratta tuttavia di un semplice sfondo, quasi di un pretesto, perché la feroce rivalità tra Grumbach e il sadico duca di Mendoza, amico fidato di Cortés, è come un reagente chimico che produce non soltanto inganni, bassezze morali, atti di brutale quanto gratuita violenza e perturbanti fenomeni “naturali” (ad esempio, l’edera che avanza rapidissima dalla foresta per tre giorni e tre notti, avvolgendo l’accampamento spagnolo), ma anche e soprattutto apparizioni diaboliche, sfalsamenti cronologici, dislocazioni spaziali, continue dissolvenze (molto cinematografiche) tra sonno e veglia, realtà e incubo: un autentico cafarnao, dove alla fine l’unica “realtà” reale si identifica con un sinistro archibugio che può sparare solo tre pallottole. La terza, decisiva, contiene il destino dell’Impero azteco e insieme quello del nobile Grumbach.

Il tutto, raccontato con uno stile raffinatissimo e una prosa di matematica precisione, dove l’“anima” incontra davvero l’“esattezza”. C’è chi ha parlato di Perutz, non senza validi motivi, come del punto di convergenza tra Kafka e Agatha Christie, ma nello specifico de “La terza pallottola” si può forse dire che Perutz è Borges prima di Borges. Che, non a caso, venerava il romanzo ed è stato tra i suoi primi e più grandi ammiratori.

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