Lago di Como, leggenda in punta di penna

Dal giornalista e scrittore Pietro Berra un libro che raccoglie i riferimenti lariani trovati nei grandi epistolari. Primo tra tutti fu Plinio il Giovane: «Vero iniziatore del mito con scritti che celebravano natura e architettura»

In copertina, Villa Serbelloni a Bellagio in un dipinto di Johann Jacob Wetzel, dal “Viaggio pittoresco sul lago di Como” del 1822. A sancire iconograficamente senso e scopo di un itinerario polifonico.

Trenta in tutto le voci che celebrano, stabilendolo ciascuno per la propria parte, il mito del Lario quale luogo di delizie, meta di elezione, pilastro del Grand tour (in origine esperienza conoscitiva oltre che estetica, altro che la sterile caccia ai selfie attuale). Un mito che perdura al tempo dei trolley e degli smartphone.

Stiamo parlando del nuovo libro del giornalista culturale della Provincia e scrittore Pietro Berra “Lettere sul lago di Como” (p. 230, 15). È edito da Sentiero dei Sogni, associazione di cui l’autore stesso è motore e che cura itinerari di successo alla scoperta dei luoghi più emblematici e inusuali del Lario.

Vademecum

Il libro ne è ideale vademecum sub specie letteraria, quanto basta snello per transitare dal comodino allo zaino. Gli autori convocati (alcuni glorie locali come Volta, Parini e la poetessa Antonia Pozzi, ma lo sguardo è cosmopolita) sono in scena per autorevolezza letteraria ma in genere inattuale in tempi di comunicazione istantanea via social. Ossia l’epistolario. Penne intinte nel lago, per raccontare a parenti e amici quanto il lago eserciti un fascino immutato da secoli, insensibile alle mode e anzi in grado di fare tendenza.

Eppure, mai come nel XXI secolo, illusi di intelligenti artifici elettronici ed istantanei come sostitutivi della memoria e della capacità creativa, sentiamo il bisogno della sedimentazione calma dell’epistolario, della condivisione di cronache intime via lettera, più densa e pervasiva, analogica e quindi più rispettosa dei bioritmi. Ma il libro non coltiva la nostalgia dei tempi andati. Piuttosto insegna la passione di documentare quanto e come il Lario abbia pervaso l’immaginario e il vissuto di scrittori di varie epoche e formazione, tanto da risultarne ora tra i testimonial più originali, tra ville di delizia, paesaggi romantici, anditi segreti dove si annidano misteri e suggestioni.

Si va in questa agile carrellata da Plinio il Giovane (cui con lo zio di cui si celebra il bimillenario si deve la fondazione stessa del mito lariano; non a caso il volume è patrocinato dal Comitato per il Bimillenario Pliniano e sostenuto da Fondazione Alessandro Volta, LarioIn e Chiarella) al pensatore Romano Guardini (e non manca in squadra il collega Friedrich Nietzsche). Un’antologia, scelta come vuole l’etimo fior da fiore: al lettore il compito di ampliare la visione sul campo oltre che in biblioteca. Ma l’importante è che sia dia il via, forte e già sostanzioso. Perché davvero come diceva il critico Carlo Dionisotti il panorama letterario è geografia e non solo succedersi di pubblicazioni lungo l’asse della storia.

Insomma, i luoghi parlano: infondono, assorbono e restituiscono, non sono meri scenari per quanto suggestivi come quello che ebbe in sorte questa provincia.

Capostipite

Come sottolinea Berra, il capostipite è Plinio il Giovane, «vero iniziatore del mito del Lago di Como attraverso alcune lettere in cui ne ha celebrato le bellezze naturali e architettoniche». Plinio viene tradotto qui intelligentemente da allievi del liceo classico di Como, con significativo passaggio di testimone culturale. E non è un caso che di Plinio si siano nutriti poeti amanti del Lario come Wordsworth e Shelley. Ma il mito emerge giocoforza solo in parte, iceberg lacustre giacente tuttora in una infinita biblioteca dal sapore borgesiano. Come scrive Berra, «più si scava negli epistolari, editi e inediti, più si scopre una miniera d’oro».

Tesoro da far riaffiorare con pazienza, grazie a libri come questo e ulteriori tesi di ricerca. Perché gli epistolari sono testi di prima mano, verbali non mediati da secondi fini, tagli o sintesi giornalistica o altre ricette di cucina editoriale. Nelle lettere l’unico filtro di censura è nella mano che scrive ciò che la mente detta. E così in questo caleidoscopio di voci note e meno note (da Bellini alla famiglia Freud passando per scienziati, musici e storici dell’arte come Ruskin ispiratore di Proust) apprendiamo, tanto per citare qualche esempio aneddotico, dell’avventuroso soggiorno del combattente Silvio Pellico a Lezzeno; veniamo a sapere che nel 1807 a Blevio il giovine Alessandro Manzoni (che poi rese proverbiale il ramo lecchese nel romanzo) per la prima volta si imbatté - comunica in francese all’amico Claude Fauriel - nella futura prima moglie Enrichetta Blondel che gli darà dieci figli. Lago galeotto per antonomasia.

Scopriamo altrove che a Loveno sopra Menaggio soggiornò una delle massime voci poetiche del Novecento, Clemente Rebora («Il mio rifugio è delizioso», confessa). Davvero “ciò che resta lo fondano i poeti”, vien da dire dopo aver compulsato questa poliedrica raccolta epistolare, citando l’inno “Andenken”, capolavoro di uno che di lunghi cammini e immaginifici sogni ebbe grande esperienza come il tedesco Hölderlin.

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