Negli Usa il lago di “Una vita difficile”

Cinema Il film di Dino Risi, uscito nel 1961 e girato anche sul Lario, arriva finalmente nelle sale americane. L’annuncio del New York Times: «Storia di un italiano minacciato dal materialismo e dal retaggio del fascismo»

Meglio tardi che mai, come suol dirsi. Ce n’è voluto di tempo per varcare l’Atlantico tra il 1961 e il 2023. Ci ha messo molto meno Cristoforo Colombo con i suoi tre gusci. Ecco che Lea Massari e Alberto Sordi - alias Elena Pavinato e il consorte giornalista-partigiano Silvio Magnozzi - abbandonano idealmente le placide acque verdiblu del Lario e approdano - finalmente vien da dire - negli States. Lo fanno in prima classe, a bordo di una nave cinematografica di assoluta qualità, i 115 minuti della pellicola del maestro Dino Risi “Una vita difficile” - tra i cento titoli della storia del cinema nostrano da salvare secondo le valutazioni della “Rete degli Spettatori”.

Assoluto pilastro

Pellicola che, così, il pubblico Usa ammira per la prima volta e che lo ricordiamo per i digiuni dai fasti di Lariowood di cui essa è un indiscusso e assoluto pilastro, fu in buona parte ambientata e girata sul lago di Como. L’approdo americano è stato cinguettato su Twitter - con una foto dell’articolo a tutta pagina del critico Anthony Oliver Scott “How life changes all at once, and not at all” pubblicato il 2 febbraio scorso dal prestigioso quotidiano “New York Times” - dal figlio di Dino e Claudia Risi, Marco Risi, e la notizia ha scatenato fiotti di commenti.

Il rapper italico Frankie Hi-Nrg Mc per esempio ha dichiarato polemicamente dopo il tweet di Marco Risi: «La solita prontezza statunitense nel recepire le novità», al che lo stesso Risi ha risposto un «godiamocela» per calmare le acque. In effetti fa un po’ stupire pensare che dopo oltre sessant’anni il mercato nordamericano si accorga di un capolavoro italiano che vede come detto il Lario protagonista con i suoi scenari. Per “Una vita difficile” le riprese sono avvenute, oltre che a Viareggio, come detto da queste parti, ossia a Lenno (oggi inglobato nel “megacomune” di Tremezzina) e anche tra Lierna e Varenna. Sulla rete ci sono documentari in Super 8 in bianco e nero (riversati in digitale) che documentano il set lariano dello storico film.

Storia, lo ricordiamo, della forse impossibile redenzione di un irresistibile giovane di belle speranze e pochi denari alle prese con velleità da giornalista e scrittore, durante la guerra e poi negli anni a seguire, tra ingenue speranze rivoluzionarie e tragicomiche disillusioni nei tempi del boom, un personaggio quello di Sordi che incarna come poche altre la maschera dell’italiano medio e scopre l’amore proprio in Tremezzina, incarnato in una fanciulla, la bellissima Lea Massari appunto, che per difenderlo abbatte a suon di ferro da stiro un minaccioso soldato nazista (interpretato peraltro da un giovane che fu davvero un militare delle efferate Ss). Magnozzi poi fuggito alla chetichella dalle braccia della ragazza che già immaginava le nozze tornerà a Lenno come inviato sulle tracce del misterioso “oro di Dongo”.

Per illustrare la Resistenza e i suoi luoghi tra l’altro Risi scelse oltre a location lariane riconoscibili ancora oggi anche le comparse che vennero scelte tra i volti del posto. Un classico del nostro cinema insomma che senza la scenografia lariana e le narrazioni che essa incarna sul fronte della grande storia e delle microstorie incarnate in questo angolo di paradiso, avrebbe avuto diverso destino.

A chi scrive Dino Risi, intervistato a proposito del restauro della pellicola a cura del progetto Philip Morris, disse che era uno dei suoi film più rappresentativi e che Alberto Sordi fu in tale occasione splendida maschera, a dimostrazione peraltro delle sue capacità nel registro drammatico e satirico oltre che in quello comico.

Fu lo stesso Sordi, che al termine del film rifila un sonoro schiaffo con caduta in piscina a Claudio Gora nei panni di una specie di proto-Berlusconi avido di potere sui media, a dire peraltro di ritenere quella di Silvio Magnozzi una delle sue interpretazioni migliori. L’articolo del “New York Times” tesse gli elogi di Sordi nel film del 1961 e nell’Italia di quella decade cinematograficamente eccelsa e forse ahinoi irripetibile: «He was a marvelous paradox: an alienated everyman, a dignified buffoon, an avatar of ordinary italianness menaced on one side by modern materialism and on the other by the encrusted legacies of feudalism and fascism». (tradotto all’impronta è «un meraviglioso paradosso: un uomo qualunque alienato, un dignitoso buffone, un avatar dell’italianità ordinaria minacciata da un lato dal materialismo moderno e dall’altro dai retaggi incrostati del feudalesimo e del fascismo»).

Lente ironica

Così gli Usa ci guardano oggi attraverso la lente purtroppo attualissima dell’ironia amara di Risi. Va segnalato anche che in Francia è uscito di recente il dvd del film con documenti inediti e inquadramenti critici di valore. Ricordiamo tra i tanti valori culturali della pellicola l’aver saputo rappresentare dalla parte dei cittadini come oggi usa dire l’evento epocale che fu il referendum per optare tra monarchia e repubblica nel cruciale 1946: Lea e Albertone, anzi Elena e Silvio, affamatissimi, vengono invitati da un amico a una cena di monarchici su cui plana come un bombardiere dei recenti liberatori a stelle e strisce la notizia che l’Italia ha scelto di dare un meritato calcio nel sedere ai deboli e odiosi Savoia.

A distanza di tanti decenni, il giudizio degli spettatori e dei cinefili è immutato e con il passare del tempo “Una vita difficile” rifulge come uno dei modelli del cinema italiano accanto al fratello maggiore, ossia “I sorpasso” sempre per restare nella filmografia dello stesso Risi: arrivò giusto un anno dopo, nel 1962.

© RIPRODUZIONE RISERVATA