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Cultura e Spettacoli / Como città
Domenica 23 Febbraio 2025
Oriana a New York: tutta un’altra storia
La “Giò” vista su Raiuno con Miriam Leone-Fallaci, era la pr di Villa d’Este, Giovanna Govoni Salvadore. Nel 2008 raccontò a La Provincia cos’era davvero successo in quel viaggio per intervistare Marilyn Monroe

C’è da chiedersi a cosa mai possa servire una nuova fiction sulla giornalista Oriana Fallaci (a dieci anni dall’inguardabile “L’Oriana” con Vittoria Puccini). Un racconto ancora una volta di impronta agiografica, con Miriam Leone interprete volenterosa ma fuori parte e vicende storiche modellate, nella prima puntata (andata in onda martedì scorso) sulla narrativa: “com’è nata una stella” .
A pensarci bene, almeno un buon motivo c’è, e riguarda la figura femminile che gioca un ruolo chiave nel traghettare l’Oriana Fallaci “bon chic bon genre” alla più tosta “Fallaci” dell’iconografia tradizionale. Il nome è Giovanna, come anche la fiction la ricorda. Ma questa “assistente” - come viene chiamata - non ha nulla a che vedere con quella “Giò” Corsi che la serie tv interpretata da Miriam Leone vuole raccontare ai telespettatori. Giovanna si chiamava in realtà Govoni Salvadore, di cognome. Per decenni è stata la public relation head del Grand Hotel Villa d’Este di Cernobbio.
La versione di Giovanna
Fu lei a raccontare al mensile “Mag” de La Provincia (2008) la sua versione di quel viaggio americano in cui Oriana, speranzosa di intervistare Marilyn Monroe tornò senza lo scoop per l’ “Europeo”. In cambio, riuscì a ribaltare genialmente quello che in gergo giornalistico si suole definire un “buco” in un pieno di consensi. Perché l’articolo “Come non sono riuscita a intervistare Marilyn Monroe” (1956) spaccò, facendo di lei l’inviata di punta del settimanale per interviste ai divi del cinema, confluite in “I sette peccati di Hollywood” (1958), forse il meno noto tra i suoi libri. «Mi telefonò Angelo Rizzoli e mi disse: “C’è Bruno Fallaci (tra i fondatori del Corriere Lombardo e direttore di “Epoca”, ndr) che mi stressa, perché sua nipote vuole andare in America”» aveva raccontato Govoni Salvadore nel primo numero di “Mag” a Giuseppe Guin.
Giovanna era perfettamente fluente in inglese e sapeva muoversi nel mondo. L’immagine che abbiamo delle due donne mostra una spigliata Giovanna lungo le strade di New York con una più piccola e decisamente provinciale Oriana, look antico anche per l’epoca, viso tondetto che la faceva apparire più giovane dei suoi 27 anni (era nata nel 1929), immancabile giro di perle come usavano le ragazze per bene del tempo. «In quegli anni, l’America era il sogno di tutti, ma lei aveva un chiodo fisso: voleva intervistare Marilyn. Si sapeva che lei (l’attrice, ndr), girava con delle enormi parrucche nere e abbiamo passato intere giornate a pedinare tutte le donne con capelli neri». Curiosamente, nella fiction si vede rappresentato l’esatto contrario: Oriana ferma nei club una bionda platinata, scambiandola per la diva.
«Quando venimmo a sapere che Marilyn sarebbe andata ad assistere ad uno spettacolo di Julie Harris, ci precipitammo. Eravamo certe che, al termine, sarebbe andata a congratularsi e ci appostammo nei camerini». Non funzionò. «Quando ci rendemmo conto di essere nel corridoio sbagliato, ormai era tardi (...) Non potendo più uscire, non potemmo che fare altro che andare a riposare sulle poltroncine della platea». La vigilanza segnalò la cosa alla polizia «e il giorno seguente finimmo sui giornali».
Nella fiction, invece, sul giornale ci finisce soltanto Oriana, in una column della “pettegola” Luella Parson, colpita dalla determinazione della giornalista. Una scelta di sceneggiatura indubbiamente più adatta all’agiografia. «C’era la foto mia e di Oriana - puntualizzava Giovanna Salvadore a “Mag” - Sotto, un titolo che diceva, quasi con spregio: “Due romane sorprese a dormire in teatro”». Resta il fatto che «Oriana divenne giornalista proprio in seguito a quella nostra esperienza in America».
Penelope va alla guerra
Il viaggio americano fece crescere Fallaci anche come donna, portandola a riflettere sull’emancipazione femminile, che vedeva gli Usa lontani anni luce rispetto all’Italia di fine anni Cinquanta. Dopo “I 7 peccati di Hollywood” Fallaci scrisse un romanzo - intitolato “Penelope va alla guerra” (Rizzoli, 1962) - parziale ispiratore della fiction con Miriam Leone che, letto oggi, fa sorridere, per la sua naïvitè, ma nel contesto dell’epoca deve aver avuto una certa presa sulle giovani donne.
Si parla di sentimenti e sessualità sganciata dal matrimonio, a quei tempi percorso quasi a senso unico per la fanciulle. Fallaci non ha lo stile pungente di una MaryMcCarthy, passata alla storia più come amica di Hannah Arendt, che ci ha lasciato il capolavoro “The Company”, edito vent’anni prima di “Penelope va alla guerra”, da cui Sidney Lumet trasse l’omonimo film. Ma come andò a finire tra Giovanna e Oriana? «Per anni ci siamo sentite - concludeva la signora Govoni Salvadore - , ci siamo scritte lettere, che io conservo ancora, ma ci siamo perse di vista». Oriana era ormai “la Fallaci” e girava il mondo con l’elmetto in valigia.
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