Paolo Sortino: il futuro che è presente

“Demone custode” è l’ultimo lavoro dello scrittore romano, specializzato nelle descrizioni del “male”. La storia di uno scorticato vivo che confessa come tutti noi sopravviviamo solo perché facciamo finta

C’è uno strano miracolo che sta avvenendo nell’editoria italiana. Da anni, a parte i soliti nomi, i soliti nominati - non ancora così grandi da essere i soliti- si erano smarriti. Chi per scelta (esiste ancora chi, tra chi scrive, non si vende al mercato) o per delusione di una editoria che ingloba sempre più i narratori italiani riducendoli a macchine da scrivere.

Orazio Labbate - autore di successo per Bompiani, critico letterario per “Il Corriere della Sera” - sta riuscendo in una impresa che non è da tutti. Ha creato la collana “Interzona” per Polidoro editore che ricorda, per coraggio, le edizioni Theoria o Stile Libero Einaudi sotto la guida di Severino Cesari.

Esordienti

Il mondo culturale italiano è crudele ma Severino Cesari è stato il primo ad intuire come la qualità degli italiani esordienti non dovesse per forza coincidere con un flop commerciale. E l’ha insegnato sino alla fine, quando lo convinsi a pubblicare i suoi scritti su Facebook in un libro che poi vide la luce con Rizzoli con il titolo “Con molta cura”, che non è un libro ma è il testamento di uomo malato sino alla morte. Neppure la morte era in grado di allontanarlo dalla scrittura e dalla lettura.

“Demone custode” di Paolo Sortino riporta in libreria un autore che ha esordito con uno dei romanzi più…: e qui mi fermo. Più? Non ho aggettivi. Fuori catalogo per Einaudi, un capolavoro di stile, la storia - vera - di un uomo tedesco che imprigionò le proprie figlie per anni in uno scantinato che loro conoscevano come l’unico mondo vero. Gli costruì anche una piscina. Il nome l’ho rimosso, non lo vado a cercare, perché non ha importanza. Sortino descrisse quelle mostruosità senza essere morboso, ma dettando ogni parola alla nostra coscienza. Dove eravamo? Dove erano i vicini, gli amici, le istituzioni? Facile accusare un mostro quando i tentacoli sono i nostri. Ha descritto il male come pochi sanno fare in Italia, forse unico insieme con l’Andrea Tarabbia de “Il demone a Beslan” (Mondadori, poi Bollati Boringhieri).

Adesso torna con “Demone custode”. Potrei soffermarmi come altri critici sui rimandi letterari o filologici del “daimon” greco, ma non mi interessa. Paolo Sortino racconta la storia di uno scorticato vivo che in prima persona ci confessa come tutti noi sopravviviamo solo perché facciamo finta.

Ma soprattutto che a fare male non è la croce ma sono i chiodi. Con questa frase potrei finire la mia recensione, ma forse è troppo criptica.

Piccolo capolavoro

Io ho riletto ancora il libro che è un piccolo capolavoro perché è la radiografia sociale di come siamo. Leggi, giri pagina, e capisci che non è solo un romanzo ma qualcosa in più: è il bisogno di regalare al lettore come è la realtà oggettiva. Da questo il titolo: da Platone a Erodoto a Goethe e Eraclito “Per essere divino l’uomo deve essere sé stesso”. Non lo troverete su Wikipedia ma dentro questo romanzo che non ha eguali nella narrativa contemporanea: sia come scrittura -lo stile di Sortino è non incasellabile: un telegrafista del dolore? No. Qualcuno che manda un messaggio morse ad un telegrafista che sciopera? No. È quello che un lettore cerca e incredibilmente trova. Nichilismo? No. Temi comuni a Bernhard, Walser, Handke. Ma che noia! Perché Sortino parte da dove Thomas Mann aveva concluso con “La montagna incantata”: con i due protagonisti che si scambiano le radiografie dei polmoni. Toglie il respiro il demone ma al contempo lo restituisce.

Non è Albert Caraco, non è Stig Dagerman. Perché è maieutica. In Sortino c’è una felice disperazione, una operazione chirurgica senza anestesia. E ne usciamo felicemente vivi, perché forse, alla fine, vivere, è rendersi cont(r)o, trovare un equilibrio che non è una (p)resa di coscienza, fare un frontale con la vita ed uscirne miracolosamente illusi.

C’è tutto questo e di più. Un romanzo, soprattutto, che non è ombelicale, che racconta una vita che quando non ci credevi più arriva una piccola fiamma e allora ti ricordi che la ineluttabile morte, ombra che aleggia su tutto e che rimuoviamo sempre, si può vincere lasciando qualcosa. Ad esempio un romanzo come questo. Quello di uno scorticato vivo che ci racconta come è diventato un uomo ed è questo il suo regalo. Ricordarci di essere (umani). Ed è un regalo anche per chi umano troppo umano finisce per perdersi. In questo romanzo ogni parola è oltre il superfluo, oltre la trama, oltre la polemica. Non le manda a dire ma è elegante. E a libro chiuso mi rendo conto che è uno dei pochi casi in cui mi capita di invidiare lo scrittore, come vive, sulla carta. Ma forse capita lo stesso anche all’autore. Se fossi così anche fuori dall’inchiostro.

Questa è la rinascita della nuova letteratura italiana, il futuro che è presente. Un consiglio a chi legge i soliti ma anche ai tanti che scrivono e pubblicano con qualsiasi editore. È una scuola di scrittura. Raccolta in un romanzo.

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