«Rigoletto, bellezza fuori dall’ordinario»

Matteo Marziano Graziano, regista e coreografo. Al Teatro Sociale di Como due serate con il capolavoro di Giuseppe Verdi

La forza dell’immaginario verdiano irrompe nella Stagione lirica del teatro Sociale di Como. Questa sera e sabato, sempre alle 20, va in scena “Rigoletto”, capolavoro del Maestro di Busseto, tratto da “Le roi s’amuse” di Victor Hugo, con libretto di Francesco Maria Piave. Lo spettacolo, che ha debuttato, nei giorni scorsi, al Teatro Fraschini di Pavia, arriva ora a Como, con un allestimento dal gusto contemporaneo, caratterizzato dalla “spaccatura”. Ne parliamo con Matteo Marziano Graziano - giovane regista d’opera d’avanguardia, nonché coreografo, performer e artista interdisciplinare - che firma uno spettacolo di forte impatto, ma fedele al lavoro originario.

Graziano, la parola d’ordine del “Rigoletto” che vedremo al Sociale è “spaccatura”. Può spiegarci con quale significato è da intendere questa parola?

Questo termine deriva dal vocabolo longobardo “spahhan” che significa fendere, creare crepe in qualcosa. Il tema è emerso da una profonda analisi del libretto e della partitura dell’opera. Parliamo di spaccatura in riferimento al ritratto che Verdi ci propone di una società corrotta e divisa. Un mondo in cui Rigoletto e Gilda sono costretti a vivere. Del resto, però, anche i singoli personaggi hanno in sé delle crepe, attraverso le quali vengono a galla le parti oscure, i sentimenti meno nobili, quelle pulsioni inconfessabili che ognuno di noi ha in sé.

Questa interpretazione ben si sposa con l’irrequietudine dei personaggi verdiani, spesso alle prese con passioni negative, ingigantite dal peso del fato…

Certamente, i personaggi di Verdi, ad esempio qui in “Rigoletto” sono dei veri e propri archetipi, con forte contrasto tra ombra e luce. Pensiamo al personaggio principale stretto tra l’emarginazione alla quale lo costringe una società crudele e la necessità di essere accettato, a discapito della sua dignità. Da qui il suo odio e il sentimento di vendetta.

E Gilda?

L’ho immaginata come un’adolescente che rivendica un potere decisionale di donna. È una giovane che sta sbocciando e che purtroppo si innamorerà della persona sbagliata.

La sua regia conferirà allo spettacolo un forte gusto contemporaneo. Quali gli aspetti salienti?

Prediligo un gusto contemporaneo, ma vorrei sottolineare che ho sempre grande rispetto per la tradizione, e che qualsiasi elemento della messinscena deriva dal testo e ritrova in esso il suo significato e la sua motivazione. A Pavia, durante un incontro al Fraschini, io e Leo Nucci, grande cantante che non ha bisogno di presentazioni, ci siamo trovati perfettamente allineati, nonostante le indubbie differenze.

Quali sono i temi che lo spettacolo esalta?

L’abuso di potere, l’oggettificazione del corpo della donna e soprattutto il tema della diversità fisica. Rigoletto è descritto come gobbo e deforme nel libretto. Questa definizione oggi sarebbe considerata inappropriata. Io preferisco parlare non di deformità ma di corpi fuori dall’ordinario. E ho voluto che in scena ci fossero degli alter ego di Rigoletto. Il tema deve essere interpretato in modo profondamente umano, per sensibilizzare all’accoglienza nei confronti del diverso.

L’allestimento è caratterizzato dai costumi “di riciclo” di Laurent Pellisier. Perché questa scelta?

Le motivazioni legate alla sostenibilità sono nobili ma non sono il motivo principale di questa scelta. Abbiamo voluto usare materiali appartenuti ad altri che portassero in scena un po’ dell’energia della vita precedente. Ad esempio, il tulle dell’abito di Gilda è appartenuto ad una sposa berlinese il cui matrimonio è naufragato. Pellisier ha voluto quel tessuto per l’abito dell’infelice protagonista.

Non mancheranno anche elementi di teatro inediti…

Sì. In nome del mio passato da coreografo, ho inserito momenti coreografici che portano in scena il linguaggio della danza.

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