Se leggere in versi è una pratica civile

Analisi Per celebrare la Giornata mondiale della poesia, un approfondimento sul nuovo libro di Gabrio Vitali Una raccolta di saggi sull’importanza di conoscere gli autori contemporanei per capire meglio il nostro tempo

Chiedersi che ruolo possa avere la poesia nel mondo contemporaneo non è una questione marginale, o secondaria, rispetto ai propositi della letteratura o ai cambiamenti epocali che noi tutti stiamo vivendo. Da “Antigone” alla “Commedia”, per arrivare a “Il principe” e oltre, la storia della letteratura ci insegna come “poesia” e “civiltà” siano da sempre concepite come materia della medesima sostanza, con una relazione reciproca che pone al centro la condizione dell’uomo nel contesto storico di riferimento.

E seppure la “fin de siècle” e, in parte, il Novecento abbiano, in vario modo, messo in crisi questo rapporto, tale questione non può di certo considerarsi superata. Al contrario, di fronte ai fenomeni degli ultimi anni (pandemia, crisi climatica, migrazioni, ritorno della guerra sul suolo europeo, avvento dell’intelligenza artificiale), sembra necessario, o quanto meno utile, interrogarsi di nuovo su simili aspetti.

Chiedersi, per esempio, se la fruizione del testo poetico possa essere un’adeguata risposta all’avanzamento dell’analfabetismo funzionale. O in che modo, un’appropriata educazione alla lettura dei linguaggi possa favorire una più consapevole interpretazione del mondo e della complessità dei fenomeni che stanno attraversando le nostre esistenze.

Strumenti e valori

In “Poesia che fa civiltà” (Moretti&Vitali, 2024), Gabrio Vitali non solo mette al centro delle proprie riflessioni questo tema, ma lo affronta dall’interno, dimostrando quanto la poesia possa essere ancora determinante nel dare forza, strumenti e valori a un’epoca che, come ci auspichiamo, voglia ancora dirsi ancora “civile”. Per questo motivo, l’autore si muove da un assunto formativo e pedagogico di grande portata antropologica, ovvero dall’«educazione alla fruizione consapevole e continuativa dell’opera di scrittura poetica».

Fin dalle prime pagine, Vitali sottolinea come lo scopo di un insegnante di Lettere consista non tanto nel formare possibili scrittori o poeti, bensì nel favorire «lo sviluppo e la capacità, nell’allievo, di un pensiero autonomo», sollecitando la sua capacità «di apprendere ad apprendere». In un «contesto di crisi epocali», scrive Vitali, «la poesia [...] viene di nuovo chiamata alla sua funzione antropologica più precipua e decisiva: quella di una corale e continua rivitalizzazione dei linguaggi, che informano i modelli di pensiero e di comportamento con i quali ci interroghiamo, ci raccontiamo e, quindi, viviamo la nostra condizione di donne e uomini nel mondo».

È per questo tramite che l’opera letteraria crea «un ponte verso l’altro e verso l’altrove», dando nuova forma e senso alle cose dell’esperienza umana, generando consapevolezza, educando alla “civiltà”.

Antica Grecia

Dopo tutto, ci ricorda Vitali, questa dimensione formativa che intreccia letteratura e “pólis”, la “paidéia”, affonda le sue radici nell’antica Grecia (pensiamo alla tragedia) e segna, come paradigma, i modelli successivi, come la “Commedia” che, di fronte a una crisi storico-politica di carattere epocale, si propone di fornire «una solida visione del mondo e dell’uomo, un progetto di nuova antropologia della vita sociale e, infine, un soggetto politico e culturale capace di interrelare, nell’azione, visione e progetto».Nella seconda parte del libro, l’autore, naturalmente, si spinge oltre, chiedendosi in che modo e con quali esiti i poeti contemporanei possano esprimere e farsi carico di questa relazione.

Raccogliendo una serie di saggi cita, a titolo esemplificativo, voci come Nadia Agustoni che, tra periferie urbane e campagne sfibrate dai processi di industrializzazione, riesce a liberare il canto di vite diseredate, marginali, con un afflato corale; Alberto Bertoni, nella cui “L’isola dei topi”, il dilagare di una peste metaforica trova argine in parole che sanno ancora mettere in rilievo l’esperienza, la memoria, la bellezza; Corrado Benigni, la cui poesia tenta “di estrarre dalle cose sensibili un loro fondo segreto, illuminandolo” nel verso con l’antica tecnica retorica dell’“ex-phrasis” (ovvero riaprendo, tramite la parola, il movimento bloccato nell’immagine).

E, ancora, l’eco-poesia di Paola Loreto, l’intreccio tra storia privata e vicenda collettiva degli ultimi libri di Cristiano Poletti, il dialetto che, se nell’opera di Franca Grisoni esprime una dimensione corale, nelle “socane” (le ceppaie) di Maurizio Noris rimanda a un organismo unitario, radici sotterranee che si legano fra loro con sassi, grumi di terra, alimentandosi e sostenendosi a vicenda al pari di una comunità solidale cui la lingua materna prova a dare voce.

Gabrio Vitali, tra i vari, ricorda poi la risemantizzazione dell’esperienza messa in atto dalla poesia di Giancarlo Sissa, ovvero la ricostruzione di un episodio della vita che, in fin dei conti, viene affidata al lettore operando una rilettura del dato esistenziale; Vincenzo Guarracino, che sembra riavvolgere il tempo per aiutarci a comprendere meglio la nostra condizione umana e civile; Giacomo Trinci, la cui opera si configura come un luogo di resistenza alla disperazione e alla dissipazione. Ma è in due figure centrali che, nella terza e ultima parte del libro, Gabrio Vitali riconosce il proprio debito formativo e portato esistenziale: Edgar Morin e Mauro Ceruti.

L’autore sottolinea come per comprendere al meglio i profondi mutamenti dell’epoca che attraversiamo sia sempre più necessario “abitare la complessità”, evitando quelle semplificazioni che non consentono di maturare una nuova visione della vita, della società e del mondo, auspicando un nuovo umanesimo nel quale, come suggerisce Ceruti, “la relazione preceda l’esistenza”, per un modello di pensiero basato «sulle relazioni di accoglienza, di reciprocità, di solidarietà e di condivisione con ciò che è altro da noi».

Un nuovo paradigma nel quale l’uomo si possa concepire come crocevia di un pensiero e di un agire responsabile verso l’umanità, il pianeta e la Storia. «Proprio - ci dice Vitali - come un grande poeta».

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