Spartaco Vela: la vita delle piccole cose

A Ligornetto l’esposizione dedicata al figlio del celebre scultore ticinese, visitabile fino al 27 aprile. Artista legato al naturalismo lombardo, le sue opere sposano la causa della salvaguardia del paesaggio

Visitare il museo Vela a Ligornetto, borgo poco lontano dal confine con Como, è sempre emozionante. Una grande pace pervade il visitatore non appena si varca la soglia del parco, non molto esteso, ma estremamente curato. L’impatto visivo delle sale è straordinario, per la grandiosità degli spazi, per la bellezza della luce, per l’eleganza dell’allestimento.

Ed ancora una volta, con questa esposizione dedicata a Spartaco Vela (Torino 1854- Ligornetto 1895), non si rimane delusi. Era una mostra necessaria: una sorta di risarcimento per scoprire un pittore ancora poco conosciuto. Ed anche per approfondire ed intrecciare tra loro, le altre personalità che hanno contribuito a creare il museo, intitolato allo scultore Vincenzo, padre di Spartaco, ma frutto nel corso degli anni anche del lavoro di altri artisti che generosamente hanno lasciato i loro patrimoni di opere, di libri, di fotografie, di documenti, in una parola la loro vita, alla villa della piccola cittadina ticinese.

Testamento

È del 1892 il testamento in cui Spartaco lega alla Confederazione Svizzera tutte le opere del padre a condizione che la raccolta sia aperta al pubblico: ad un pubblico generico, ma anche alle scuole. Segno di un interesse didattico per nulla scontato in quegli anni. La breve vita del pittore si snoda tra Ligornetto e Milano, la città dove studia e dove si era formato anche Vincenzo, così come un gran numero di artisti ticinesi, attratti dall’ambiente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, istituzione di grande prestigio, punto di riferimento per pittori, scultori, scenografi, lapicidi ed altro ancora; come pure per mercanti, collezionisti e conoscitori di tutta Europa. Ed è nelle sale di Brera, in occasione della annuale rassegna di belle arti, che il giovane si presenta per la prima volta esponendo tre dipinti (1878).

La sua educazione si deve a Giuseppe Bertini, figura carismatica nella Milano di quegli anni che aveva la cattedra della Scuola di Pittura e alla frequentazione della bottega di Eleuterio Pagliaro. Con casa e studio a Milano, per circa un decennio, dal 1869 al 1879, Spartaco vive non da protagonista, è un uomo riservato, ma da attento osservatore, il clima vivace della metropoli, luogo d’incontro e di scambio fra artisti di diversa formazione e provenienza.

Sono gli anni delle esposizioni internazionali e nazionali, ma anche di rassegne più piccole, ma non per questo meno importanti, come per esempio- per restare a Milano- quelle promosse dalla Società Permanente per le Belle Arti, una istituzione prestigiosa, attiva ancor oggi, con sede in via Turati.

“Nello specchio”

Ed è in questa sede che nel 1886 il pittore espone la tela, “Nello specchio”, un’opera ritenuta dalla critica il suo capolavoro. Spartaco si trova a vivere in anni di grandi cambiamenti. Sotto il profilo artistico ci si allontana dal genere storicista, dalle composizioni di soggetto epico, di storia nazionale, spesso di grande formato, per orientarsi, sulla scorta di altri modelli, verso una pittura dedicata a soggetti della vita quotidiana, a episodi meno eclatanti, tratti dall’osservazione della realtà urbana, rurale e in molti casi alpestre. Cambia il gusto. Gli artisti vogliono cogliere “il vero”, nemico di ogni artificio. E non è un caso che uno dei docenti di Brera (Scuola di Paesaggio), il pittore Gaetano Fasanotti (Milano 1831-1882), scelga di allontanarsi dalle aule di scuola per far dipingere gli allievi nelle campagne suburbane, abituandoli ad una relazione più stretta con la natura che si traduce in una tavolozza luminosa, quasi smaltata.

Un dipinto del Fasanotti raffigurante “Paesaggio” (1859) viene acquistato da Vincenzo per la sua collezione. Una tela sempre sotto gli occhi di Spartaco che a questi temi dedica diversi quadri, uno dei quali, “Pace”, rimane a tutt’oggi un caposaldo della sua carriera. L’ opera, di grandi dimensioni (cm. 200 x 110,5), venne esposta nel 1891 alla prima Esposizione Triennale, una rassegna organizzata dall’Accademia di Brera che godette fin dal principio di un grande successo di pubblico.

Il soggetto dato da Spartaco è, “Madre col Bambino”, che dona a questa figura di giovane donna (quasi una colonna) una potenza magnetica e un afflato sentimentale straordinario accanto ad una descrizione della natura -dai fiori, alle erbe, ai coniglietti e allo sfondo maestoso delle montagne innevate- mai leziosa e virtuosistica, ma profondamente sentita.

Dell’intera e purtroppo assai breve parabola dell’esistenza del pittore, rimane il senso di un’opera compiuta, declinata anche nell’impegno civile che egli riversò nella causa della salvaguardia del paesaggio di cui si fece paladino a partire dal 1890 quando pubblica l’opuscolo, “Il Monte Generoso. Lamento di un Montanaro”. Una critica puntuale alla ferrovia a cremagliera del monte Generoso che avrebbe dovuto, come effettivamente avvenne, incrementare il turismo. E la natura, come quella raffigurata da Giovanni Segantini di cui Spartaco acquistò un quadro per la propria collezione (“Paesaggio con pecore”, 1881), non è mai anedottica, ma è linfa vitale di cui ancor oggi noi sentiamo il respiro. Un insegnamento su cui meditare.

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