«Uomini e uccelli: la migrazione
è dentro la natura»

L’intervista Gianluca Ferri, storico e musicista, nel libro “Con altri occhi” racconta il nomadismo da una prospettiva insolita

Morte, guerre, disastri ambientali, estinzioni: gli esseri viventi sono sempre più costretti ad abbandonare la propria terra. Gianluca Ferri, storico e musicista, racconta nel libro “Con altri occhi” (edito da Orme) il nomadismo che caratterizza da millenni il genere umano e non solo.

Perché raccontare la vita di chi si mette in viaggio?

Racconto la vita non il suo contrario. Se dobbiamo riappropriarci della consapevolezza di doverla tutelare in ogni sua forma, chi migra è più fragile degli altri; affronta i rischi connessi alla sopravvivenza nei luoghi di partenza, in quelli di arrivo e durante il percorso. Chi si mette in viaggio si espone maggiormente rispetto a chi sta fermo, sebbene il bagaglio non sia per tutti con le stesse possibilità.

Quali sono gli esseri viventi che per primi nella storia del pianeta hanno iniziato a migrare?

Il movimento è l’essenza della vita stessa. Le teorie sull’evoluzione sembrano d’accordo sul fatto che gli oceani primordiali abbondassero di organismi unicellulari, incapaci di muoversi da soli, ma trasportati delle correnti. Gli antenati di spugne e coralli furono i primi ad ancorarsi ai fondali marini e, probabilmente, alcune delle loro larve, migrate per cercare un posto in cui stabilirsi, “decisero” di restare in movimento, vestendosi nei millenni di nuove forme e dando origine alla miriade di creature che abitano il Pianeta.

Fra gli stormi studiati quali ritiene più organizzati?

La migrazione degli uccelli dipende da direttive genetiche che si combinano con l’esperienza acquisita nei viaggi o dallo stormo di appartenenza. La maggior parte delle specie migra in solitaria, sebbene venga spesso riscontrata una maggiore socialità durante le migrazione anche in quelle specie che non vivono in gruppo. Le specie animali nei loro spostamenti beneficiano dell’esperienza degli anziani – come gli elefanti - o dei capi gruppo come i lupi. Gli uccelli e gli stormi, soprattutto quelli costituiti da milioni di individui, in Europa, in Africa, hanno un’organizzazione che non dipende da un “leader” ma dal fatto che ognuno agisce di riflesso alle azioni di chi lo circonda.

Molte specie scelgono il letargo.

Migrare è una strategia di sopravvivenza adottata per fronteggiare una crisi; il letargo è l’alternativa entrambe sono generate dal crollo di un equilibrio, come quello dovuto ai cambiamenti stagionali.

Il cambiamento climatico mette in pericolo le migrazioni di diverse specie di uccelli. Cosa possiamo fare?

Tantissime. Guardiamoci con occhi disposti ad accorgersi della vita che ci circonda, in qualunque forma essa sia, per conoscerla, accoglierla e rispettarla. Il libro raccoglie storie di “altri” in cui c’è la storia di tutti. Scoprire altre creature - uomini, uccelli che siano – apre alla possibilità di conoscere sia le loro esistenze, sia tratti inesplorati delle nostre e modalità di interazione alternative.

Che cosa accumuna gli stormi degli uccelli con le migrazioni dell’umanità?

Le rotte seguite, le barriere da attraversare, l’incertezza del viaggio e molto altro. La migrazione è una tattica per affrontare un allarme che dipenda dalla disponibilità di risorse, guerra, povertà, il clima che cambia, da ambizioni lavorative o di studio, o dall’impossibilità di realizzare un desiderio. Chi sceglie di migrare lo fa perché spesso è l’unica o l’ultima cosa che può fare per sopravvivere.

Navigatori, mercanti, conquistadores si sono messi in viaggio per scoprire e conquistare nuovi mondi.

Gli scambi tra i continenti, oltre ai risvolti positivi e negativi legati agli scontri e incontri di persone, sono stati anche causa di migrazioni spontanee o forzate. Per l’Europa, pioniera delle colonizzazioni moderne, gli esodi verso gli altri continenti hanno avuto anche la funzione di ridistribuire altrove una popolazione che il continente non poteva più sostenere, a discapito di chi accoglieva. Le “migrazioni di conquista” dal Cinquecento in poi hanno portato all’Europa non solo la possibilità di accedere ad ulteriori spazi e risorse, ma purtroppo anche l’errata convinzione – avendo avuto la meglio – di ergersi a padroni del mondo, con le conseguenze storiche, economiche e sociali che conosciamo.

Perché, secondo lei, le politiche internazionali non affrontano i flussi migratori contemporanei?

Perché la migrazione è sempre vista come problema? Dovremmo iniziare a proteggere le persone più che i confini, cercare un modo costruttivo e vantaggioso di impiegare queste risorse in movimento, piuttosto che pensare a come rimandarle indietro.

Che cosa insegna la natura alla nostra civiltà?

La natura è organizzata ma non ha la politica: non c’è giudizio solo necessità. È strutturata su meccanismi stabili e, allo stesso tempo, imprevedibili. La flessibilità – genetica, comportamentale, biologica – è l’ingrediente principale dei processi evolutivi. In natura morte e sopraffazione sussistono in funzione di risorse garanti del mantenimento di equilibri delicati e necessari, svincolate da qualsiasi logica di potere, prerogativa umana.

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