Da Como al Kenya, il chirurgo degli ultimi

Persone Antonio Melotto è appena rientrato da Nairobi, dove dal lontano 1994 opera traumi e disabilità gravi

È appena tornato dal Kenya il dottor Antonio Melotto, nelle baraccopoli di Nairobi ha di nuovo operato bambini con paralisi e problemi agli arti, mani e gambe, come fa già dal lontano 1994. Passata l’estate con degli amici chirurghi americani, è pronto a tornare in Africa, al centro di primo soccorso Neema Hospital della Onlus World Friends.

«Piedi storti, braccia bloccate, opero disabilità nella prima infanzia che possono escludere dall’istruzione e dal lavoro tanti bambini – racconta l’ortopedico –. Vediamo anche tanti ustionati, malnutriti, piccoli con traumi anche gravi. Indubbiamente in questi ultimi trent’anni un certo pezzo della classe media locale è emersa dalla povertà totale. Ma in Kenya le sacche di miseria estrema sono ancora stracolme, le baraccopoli fuori dalla metropoli si estendono senza fine a vista d’occhio. Ci abitano persone estromesse dalla società, dove non c’è scuola, non c’è occupazione, solo la criminalità domina questi spazi. Su circa cinque milioni di persone almeno tre vivono in questi luoghi, senza acqua, luce, fogna. Bisogna vedere per capire». Nel libro “Malati di povertà” il medico prova a dare una complicata descrizione di ciò che gira attorno al Neema Hospital. «L’ultima alluvione ha portato via dozzine di baracche con dentro bambini, donne e anziani – racconta Melotto –, è stata una recente tragedia, le autorità hanno contato 250 morti, ma posso assicurare che il bilancio è stato ben più tragico. Non c’è un’anagrafe laggiù che sappia puntualmente fare un calcolo preciso».

La fame e la povertà, le guerre e le carestie, hanno spinto tantissimi africani a scappare, affrontando viaggi della speranza che a volte passano proprio dal nostro confine. Tra Como e Chiasso.

«E infatti tornato a casa visito questi migranti alla Croce rossa di Lipomo – spiega il medico comasco –. I soccorritori da mesi hanno allestito nella sede un centro di prima accoglienza. Arrivano quasi solo giovani, ragazzi. Adesso sono presenti una settantina di persone, di recente quasi tutti provenienti dal Bangladesh, salvo una donna iraniana con cinque bambini piccoli. In questa fase sono pochi i subsahariani, ma dipende dalle ondate. Chi arriva dall’Africa centrale ha purtroppo anzitutto gravi ferite psicologiche. È gente che ha subito cose inimmaginabili, spesso dai confratelli nord africani, sempre molto razzisti nei confronti degli africani del sud. Sulla pelle restano i segni, dei traumi e delle botte, ma anche le macchie e le ustioni del sole, del sale del mare, della benzina e della nafta». Cicatrici che si creano durante le traversate, avventure con mete incerte e troppe pericolose incognite. Durante questi viaggi, come fossero bussole, questi migranti hanno tutti in mano un telefonino. «E perché, qui chi è che non ha un telefonino in mano? - ribatte lo specialista – È l’unico loro legame con casa, con il passato e gli affetti. Ho appena conosciuto un ragazzo bangla che ha lasciato in patria i tre figli e la moglie. Ha vissuto da schiavo a Dubai per tre anni, poi è riuscito a liberarsi ed è scappato fino a qui, quasi per caso, in una terra lontana dove non mastica nemmeno una parola del nostro vocabolario. Ha il cellulare, sì, senza non riuscirebbe a parlare e a vedere chi ama».

A Lipomo un gruppo di volontari sta organizzando non a caso dei corsi di italiano, ci partecipano a volte donne e giovani stranieri completamente analfabeti. «Quando torno a casa pazienti e colleghi mi chiedono di restare – racconta Melotto –, di non partire più e di dare una mano alla gente qui. Perché da noi le liste d’attesa si allungano, i pronto soccorsi sono sempre più sovraffollati, la sanità è in crisi, ci sono pochi medici e gli esami bisogna farli a pagamento. E così dopo tanti anni di ospedale, raggiunta la pensione, insieme a un gruppo di medici brianzoli sono entrato nella Comunità della salute. È un’ associazione di specialisti che offre a chi ha bisogno consulenze gratuite, con un gruppo di mutuo aiuto».

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