E don Giusto diventa una squadra di calcio
Si chiama “Don Justice team” e riunisce giovani ospiti della parrocchia di Rebbio provenienti da nazioni diverse
C’è una divisa, c’è un allenatore, ci sono delle regole di gioco da rispettare, ma soprattutto c’è un gruppo che ha voglia di mettersi alla prova e di farlo anche attraverso lo sport.
«È anche un modo per consentire ai ragazzi di sfogare le loro emozioni»
A Rebbio è nata una nuova squadra di calcio tra le cui file militano alcuni dei ragazzi migranti ospiti in parrocchia: la Don Justice Team. Il nome è già tutto un programma, un tributo simpatico a don Giusto Della Valle che con questi giovani ci lavora da sempre e condivide anche parte delle sue giornate. Appassionato o meno di calcio, questo non ci è dato ancora saperlo, don Giusto sarà il primo a essere invitato sugli spalti per assistere alle future partite della squadra che tiene alti i colori giallo e granata. I 15 aspiranti atleti, quasi tutti maggiorenni, si stanno già allenando il lunedì e il mercoledì al campo dell’Alebbio e sperano presto di cimentarsi in qualche torneo estivo, puntando, perché no, la prossima stagione a iscriversi a un campionato di Csi. I sogni si devono inseguire fino alla fine e se l’impegno non manca, il traguardo si avvicina.
A Rebbio sono circa 40 i ragazzi che sono arrivati da diverse parti del mondo, dopo aver affrontato un viaggio di migrazione. Sono per lo più originari dell’Egitto e della Tunisia, con poche presenze dal Pakistan e dallo Sri Lanka. In dieci si trovano in regime di pronto intervento, in attesa di un trasferimento in comunità, rientrando nella fascia dei minori stranieri non accompagnati. Per tutti gli altri invece, compiuti i 18 anni di età, si è aperto un nuovo capitolo della loro vita.
«Stiamo facendo i conti con un’emergenza diversa – racconta Davide Prosdocimi, educatore nella realtà di accoglienza di Rebbio – Se prima il flusso più considerevole da gestire era quello legato ai minorenni stranieri non accompagnati che arrivavano a Como, flusso che credo riprenderà con la bella stagione, la criticità attuale è quella di accogliere i ragazzi maggiorenni che non possono più stare in comunità e che da un giorno all’altro si trovano praticamente in strada. Da don Giusto ne sono accolti circa una trentina, a cui viene data ospitalità. contando per lo più su donazioni, e che sono seguiti a livello di formazione. ad esempio nell’apprendimento della lingua italiana. e a livello professionale per indirizzarli verso un percorso lavorativo che li possa rendere autonomi e favorire l’integrazione nella nostra comunità».
E in tutto questo lo sport come si inserisce? «È un linguaggio che ci offre la possibilità di lavorare su diversi fronti – continua Davide Prosdocimi – Riuscire a vivere in maniera costante un allenamento di calcio da parte di questi ragazzi non è una cosa scontata. Sono abituati a correre dietro a un pallone in ciabatte e senza seguire delle regole. Allacciarsi gli scarpini, indossare una divisa, ascoltare l’allenatore, svolgere gli esercizi e nel frattempo costruire un gruppo di gioco sono delle piccole ma significative conquiste che lo sport permettere loro di raggiungere. Essere in una squadra significa sviluppare la consapevolezza di se stessi inseriti in un gruppo e avere l’entusiasmo con questo gruppo di uscire dalla parrocchia e di andare in trasferta per confrontarsi con realtà diverse e con persone diverse».
La Don Justice Team è uno dei punti di approdo del progetto sportivo che a Rebbio ha mosso i primi passi già lo scorso anno. «È iniziato tutto con il coinvolgimento di due ragazzi stranieri migranti, Kalil e Mimmo, nella società di basket di Civenna dove io alleno – precisa Prosdocimi – pur non conoscendo nulla della disciplina sportiva, Kalil e Mimmo si sono molto legati alla realtà del minibasket, costruendo un bellissimo rapporto con i bambini e diventando dei vice allenatori e parte integrante delle famiglie che ruotano intorno alla società. Kalil attualmente ha concluso un percorso per essere arbitro e dirige alcune partite di minibasket con grande soddisfazione».
Lo sport sta permettendo di lavorare in maniera profonda con questi giovani migranti. «Oltre alla costituzione della squadra di calcio infatti abbiamo fatto partire dei progetti sportivi nelle scuole dove gli stessi ragazzi insegnano esercizi di varie discipline agli studenti, oppure stiamo pensando di creare sinergie perché sempre loro portino avanti attività sportive inclusive con realtà che accolgono giovani con disabilità. Si sono rivelati molto attenti e capaci con chi convive con una situazione di questo tipo. In ultimo pensiamo di inserirli in alcune società sportive del territorio come figure di supporto al team, affidando loro degli incarichi come pulire le palestre a fine partita o preparare i campi da gioco, a fronte di un gettone di presenza. Per loro sono tutte occasioni per praticare la lingua italiana, sperimentare una professione e vivere dei momenti importanti di integrazione».
Non resta che prepararsi a fare il tifo per questi progetti e dal vivo per la Don Justice Team. «L’idea della squadra è nata per creare un momento in cui i giovani potessero dare sfogo alle proprie emozioni. Oltre il gioco del calcio infatti c’è di più. C’è il desiderio di non sentirsi soli, di fare qualcosa di riconosciuto e di avere l’appoggio di una comunità. Lo sport diventa così inclusione ma anche trampolino di lancio per apprendere come si sta in un gruppo e come si lavora insieme per un obiettivo».
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