Eredi del cuore delle dame della carità

La storia Suor Gilia e suor Gaziella sono i volti storici e impegnati della casa Vincenziana di Como, rifugio per i poveri

«La carità è creativa all’infinito» vanno ripetendo suo Gilia e suor Graziella, rispettivamente 91 e 80 anni, mentre tenendosi sottobraccio salgono le scale della casa Vincenziana di via Tatti, aiutate da un solo un bastone d’appoggio. Perché in cento anni di storia esatti di impegno a favore dei poveri il volontariato vincenziano in città ha imparato a trasformarsi.

La minestra dei poveri

«Le dame della carità a inizio secolo aiutavano le donne laiche a prendersi cura del prossimo – raccontano le due suore – Qui è nata la “minestra dei poveri”, la distribuzione dei pasti caldi. Poi la scuola, l’asilo, il pranzo dei lavoratori, esigenze cambiate o venute a mancare nel corso dei decenni. Nel nuovo millennio è nata la casa Vincenziana, adesso grazie alla mensa accogliamo nel refettorio una settantina di persone, tra i 40 e i 45 a pasto. Durante il Covid eravamo gli unici aperti in tutta la città e distribuivamo fino a 145 pranzi. Poi ha iniziato a lavorare anche la mensa di casa Nazareth e così noi abbiamo puntato con più forza sull’assistenza alle famiglie. La spesa solidale, la casa dove ospitiamo donne e minori in difficoltà. Durante i primi mesi di conflitto abbiamo accolto 26 ucraine anche con figli. Abbiamo alloggi per straniere che ancora non conoscono la nostra lingua e per cui cerchiamo di insegnare loro l’italiano come a scuola».

Stranieri, per la metà, ma da via Tatti passano oggi anche tanti italiani, tanti comaschi. «Anche la povertà in quest’ultimo ventennio è cambiata – spiegano Gilia e Graziella – una volta, fino almeno allo scorso secolo, a mangiare veniva il classico clochard. Poi sono arrivati tanti stranieri in cerca di migliori condizioni di vita, ma adesso bussano alle nostre porte molti connazionali. Uomini di una certa età che hanno perso il lavoro, separati o divorziati dalle moglie, con i figli lontani. Storie più nascoste, più riservate, molto delicate da approcciare. C’è chi si rimette in piedi e trova un impiego, dividendo la casa magari con altri così da potersi permettere l’affitto altrimenti troppo caro. E chi invece si adagia nella povertà. Sono tutti più fragili. Ci è capitato pochi giorni fa di seguire un uomo, che purtroppo dorme in macchina, d’improvviso è rimasto senza orientamento e non ha più una stabilità. E’ una persona molto schiva, che accetta il nostro aiuto con fatica. Gli abbiamo offerto delle coperte, ma ci è parso restio, dunque non abbiamo insistito perché spesso si ottiene il risultato opposto. E poi invece è tornato per domandare un sacco a pelo. Così l’abbiamo comprato all’istante, online». A novant’anni non manca la creatività e l’energia.

Questa opera di carità è retta da una quarantina di volontari, facce sorridenti, comaschi generosi che coprono i costi delle bollette, dei viveri, oltre a tre stipendi per chi sta sempre in cucina. Gente che si dà da fare: questa è una casa della speranza. «Abbiamo anche una farmacia di riferimento per i medicinali – raccontano ancora le due vincenziane – soldi preferiamo non darne allora con un timbro nostro sulla ricetta facciamo da garanti e il nostro farmacista fidato ci consegna le scatole da dare a chi ha bisogno. E poi cerchiamo di stringere legami, conoscere e far conoscere, con qualche ospite abbiamo stretto rapporti davvero affettuosi. Ogni tanto c’è chi dà in escandescenza, ma siamo felici che la compagnia non venga mai a mancarci».

Carità creativa

Le due suore tra le tante testimonianze raccolte in via Tatti ricordano con gioia una famiglia comasca semplice, marito e moglie con ben sette figli. Nonostante i tanti piatti da riempire questa famiglia tutte le settimane non fa mai mancare un proprio dono, un contributo per la mensa di via Tatti e per la distribuzione della spesa. Cartoni di latte, riso, pasta, caffè e scatolame che vengono regalati a circa 55 famiglie in difficoltà. «La carità è creativa all’infinito – dicono ancora Gilia Tassis e Graziella Peretti – lo diceva sempre il nostro fondatore San Vincenzo De Paoli, quando ancora la chiesa era la chiesa dei nobili. E invece occorre dare e fare secondo i bisogni del prossimo che mutano nel tempo, questa è la missione, aiutare gli ultimi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA