Gen Z tra musica e disagio sociale, in un podcast: «Questi siamo noi»

Il progetto “Fuori dai denti”: trap, drill, crew, illegalità e bullismo, per restituire voce a tutta una generazione

Per chi ha ascoltato “Fuori dai denti”, podcast realizzato da alcuni ragazzi della Fondazione Somaschi - Comunità educativa Annunciata, che si parli di illegalità è chiarissimo, che con quelle voci prendano forma storie vere è poi fuori di dubbio, ma che quei ragazzi che parlano possano essere inseriti in un percorso di messa alla prova (in gergo Map) conseguente a qualche inghippo avuto con la giustizia non è così immediato. E questo perché le loro voci piene di entusiasmo, anche se parlano di illegalità e delle sue diverse manifestazioni, lo fanno senza rabbia, senza astio,ma semmai con una dilagante passione: quella per la musica.

«Abbiamo parlato di musica e della generazione Z, la nostra, dei giovani e di come si comportano - racconta infatti Chiara (nome di fantasia) - e questo perché attraverso le canzoni è possibile esprimere emozioni brutte che altrimenti non trovano modo di uscire da noi».

Il racconto della musica

La decisione di focalizzarsi su questo aspetto particolare della vita dei ragazzi e delle ragazze che rientrano nella cosiddetta “generazione Z” e che hanno partecipato alla preparazione e produzione di “Fuori dai denti” nasce proprio dagli organizzatori del progetto, cui fa da portavoce Jonathan Tupputi. educatore nella comunità Annunciata nonché una delle due voci adulte che prendono la parola nel corso del podcast.

«Il racconto della musica drill e trap, dietro cui spesso si muove la cultura delle baby gang, insieme alla possibilità di intervistare una crew e un musicista professionista con un passato che ha anche toccato l’illegalità, è stato lo strumento che abbiamo scelto per riflettere su questi temi insieme ai ragazzi e alle ragazze. E devo dire che ha funzionato, al di là della riuscita del podcast presso un eventuale pubblico di ascoltatori», spiega Jonathan.

Lo si capisce anche solo parlando con questi giovanissimi speaker che, trovatisi per la prima volta davanti a un microfono, hanno perso le usuali inibizioni e hanno iniziato a parlare soprattutto di sé. Nelle puntate di “Fuori dai denti” infatti, a partire sempre dalla musica, si arriva a parlare di temi anche molto delicati. Come il bullismo e le ferite invisibili ma indelebili che lascia sull’anima. Ma anche i pericoli insidiosi dei social. Uno dei ragazzi, per esempio, racconta della vicenda che lo ha portato a essere oggetto di denuncia: uno sticker a sfondo pedopornografico ricevuto su whatsapp e ingenuamente girato a un gruppo di amici, i cui genitori hanno poi proceduto a segnalare il ragazzo per vie legali. Stiamo parlando di errori che non vanno ignorati o sminuiti ma che ci parlano da vicino perché ci ricordano che a tutti noi basta imboccare la strada sbagliata per trovare dietro la prima curva cieca un dirupo scosceso e che le storie di questi ragazzi sono le storie di un’intera generazione di giovani spesso lasciati senza guide.

Finalmente liberi

«Ciò che ha maggiormente colpito me e l’altro educatore e speaker, Mauro Oricchio, è che nel corso della registrazione del podcast i ragazzi hanno raccontato molte più cose di quelle che sono soliti dirci. Credo si siano sentiti liberi e valorizzati al tempo stesso: per la prima volta c’era un microfono a fare da amplificatore alle loro storie e ai loro pensieri. Si sono sentiti interrogati e messi al centro, mentre forse di solito si trovano di fronte persone che pretendono di dare loro risposte, più che porre domande».

E in effetti all’ascoltatore di “Fuori dai denti” questi ragazzi risuonano veri, profondi, sinceri, assolutamente credibili e in certi casi capaci di un’introspezione e un approfondimento per nulla banali su tematiche così complesse.

«Parlare di questi argomenti è stato uno sfogo, mi sono sentito decisamente meglio - racconta infatti Luca (anche questo è un nome di fantasia) - Ci siamo rafforzati mentalmente anche grazie alla collaborazione reciproca. Il mio momento preferito? La puntata finale (che ancora non è uscita, ndr.) quella in cui siamo stati più liberi di esprimerci e raccontarci: ho percepito proprio che, oltre a narrare le nostre esperienze, avevamo la possibilità di sensibilizzare altri su quello che ci è successo».

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