«Ho visto i sogni morire in fondo al mare»
La storia Amara ha 23 anni ed è fuggito dalla guerra in Mali nel 2012. Poi il naufragio del gommone che lo portava in Italia: «Due amici sono affogati davanti ai miei occhi»
«In Libia ho conosciuto due ragazzi, diventati poi miei amici, siamo saliti insieme sul gommone per raggiungere l’Italia. In barca dicevamo che la prima cosa che avremmo fatto appena arrivati a terra, sarebbe stata quella di avvisare le nostre mamme. Loro sono annegati. Le loro mamme non hanno ricevuto nessuna telefonata». Tuta rossa, cappellino in testa, sorriso gentile, occhi profondi di chi il dolore l’ha visto e non solo provato. Amara Traoré, 23 anni, ha lasciato il Mali nel 2012 ed è arrivato in Sicilia cinque anni dopo, nel 2017. Abbassa lo sguardo quando il racconto si fa troppo personale, si commuove pensando alla sua mamma, fa commuovere me mentre tento di fargli domande. Amara è un sopravvissuto.
Il dolore del racconto
«Ho raccontato la mia storia alla mia ragazza Benedetta e adesso la sto raccontando a te, è doloroso tirare fuori certi ricordi, perché poi ci vuole un po’ di tempo per farli tornare a posto». Non c’è in lui nessun protagonismo, ma solo la volontà di ringraziare l’Italia e di cercare di spiegare cosa vuol dire lasciare il proprio paese per salvarsi la vita.
«Non ho deciso di partire, sono stato costretto, in Mali c’era e c’è la guerra, vivevo in una regione molto pericolosa, controllata da gruppi di terroristi che dallo scoppio del conflitto hanno distrutto tutto. Mio padre è stato ucciso. Ci sono stati momenti in cui non potevamo nemmeno uscire di casa per andare a comprare il cibo, quando la situazione si è calmata ci siamo spostati a Bamako, la capitale, ma il clima non era migliore, c’erano tante manifestazioni contro il presidente Dioncounda Traoré».
«Siamo partiti alle due di notte dalla Libia, avevo paura del mare, avevo sentito storie di persone che erano morte tentando la traversata per l’Europa. Penso sempre agli amici che ho perso in viaggio, due persone dal passato simile al mio»
Amara, che nel 2012 aveva 12 anni, partecipa alle manifestazioni che avevano lo scopo di chiedere un intervento più efficace per migliorare la situazione del paese. Ma le manifestazioni non erano libere, se partecipavi venivi imprigionato. Amara si ritrova ricercato e sua mamma prende la decisione che nessuna madre vorrebbe mai prendere, lo aiuta a scappare in Costa d’Avorio.
Immaginate di prendere vostro figlio poco più che bambino e di salutarlo con la certezza di non rivederlo mai più, ma la speranza che non venga ucciso. Immaginate di passare il resto della vostra vita a pensare a quel bambino che vaga chissà dove. Immaginate di essere voi quel bambino che si ritrova da solo in un paese sconosciuto. «In Costa d’Avorio non conoscevo nessuno, lavoravo in strada aiutando a trasportare i bagagli, guadagnavo quello che mi serviva per mangiare. Ho incontrato persone che mi hanno aiutato offrendomi un lavoro in un magazzino, ho deciso poi di andare in Libia per raggiungere mio zio che viveva lì. In Libia la situazione non era migliore, ma almeno non ero da solo».
«Dicevano che la prima cosa che avrebbero fatto in Italia sarebbe stata di avvisare le loro mamme, ma nessuna mamma è stata chiamata»
In Libia, Amara viene imprigionato, sequestrato e arrestato due volte dalla polizia mentre tenta di prendere la barca per l’Italia. Non c’è la giustizia che decide chi sta in carcere, decidono solo i soldi, se paghi sei libero. Dal momento in cui saluta sua mamma a quello in cui riesce a salire sul gommone passano 5 lunghissimi anni. «Siamo partiti alle due di notte dalla Libia, avevo paura del mare, avevo sentito storie di persone che erano morte tentando la traversata per l’Europa. Penso sempre agli amici che ho perso in viaggio, due persone dal passato simile al mio. Quando abbiamo visto la barca italiana tutti volevano salire, tutti spingevano, il gommone si è bucato, prima che arrivassero i soccorsi i miei amici sono annegati, io sapevo nuotare, sono riuscito ad afferrare un gilet buttato in mare, loro non hanno fatto in tempo. Dicevano che la prima cosa che avrebbero fatto in Italia sarebbe stata di avvisare le loro mamme, ma nessuna mamma è stata chiamata». Quei visi hanno tormentato le notti di Amara per mesi e ancora oggi ricordarli fa male.
Grazie, Italia
Sbarca in Sicilia nel marzo del 2017 e viene portato a Como al Don Guanella. Va a scuola, impara l’italiano. Oggi ha un permesso di soggiorno che rinnova ogni sei mesi, un lavoro a Cantù, una casa a Valbrona, una ragazza: Benedetta. Un nome che al solo pronunciarlo riempie il viso di Amara di luce, ma con un’ombra: «Non vedo mia mamma e nessuno della mia famiglia dal 2012, riusciamo ogni tanto a parlare per telefono, è dura per me, mi mancano molto. Non sono partito dal Mali con l’idea di venire qui, dovevo solo salvarmi la vita, non importava dove. Voglio ringraziare di cuore l’Italia per avermi accolto e per avermi dato tutto. Ho incontrato tante persone che mi hanno aiutato, posso solo dire grazie».
© RIPRODUZIONE RISERVATA