Diogene / Olgiate e Bassa Comasca
Lunedì 19 Febbraio 2024
I giovani e la pace: la storia di una comasca a Beirut e di una generazione che non si arrende
Mediazione di conflitti Viola, 22 anni, comasca, lavora a Beirut: il suo è il volto di una generazione che non ha paura. E che non si arrende
Dal Lago di Como al Portogallo. Poi l’università in Francia e ora il Libano. Ha solo 22 anni Viola Luraschi, ma già porta con sé un ricco bagaglio di lingue, culture e tanta passione per la politica. Politica praticata in una delle sue più nobili declinazioni: la mediazione dei conflitti.
Studentessa di scienze politiche
La sua famiglia, che è originaria di Carate Urio, si trasferisce a Lisbona quando Viola ha otto anni, poi a Varsavia per un anno prima di tornare a Lisbona, dove Viola termina gli studi liceali. Dopo il diploma, Viola si iscrive a Sciences Po a Mentone dove studia scienze politiche con focus su Medio Oriente e Nord Africa.
Al suo terzo anno di studi decide di partecipare a uno scambio con l’Università libanese-americana di Beirut. Proprio a Beirut, alla fine di settembre 2023, si candida per uno stage al Comitato di dialogo libanese-palestinese e viene accettata. «Ho cominciato a lavorare cinque giorni prima del 7 ottobre - continua - ma anche dopo l’inizio della guerra, ho capito che potevo dare il mio contributo. Leggere di quel che stava accadendo è stato molto pesante. Sentivo intorno a me le reazioni di persone che vivono sulla pelle questi conflitti da sempre».
Il Comitato per il dialogo tra palestinesi e libanesi in cui Viola lavora è stato voluto dal governo locale. Ci sono molti campi di rifugiati palestinesi nel Paese e negli ultimi anni sono cresciuti anche quelli siriani. «Alcuni sono stati inglobati nelle periferie di Beirut - spiega Viola - in un insieme di abitazioni addossate le une alle altre, con i fili dell’elettricità scoperti che causano diversi morti ogni mese. I neon sono accesi anche di giorno perché la luce del sole non passa. Nel Libano del sud, a Saida, c’è un grande campo di rifugiati l’Ein El Hilweh Camp. Qui convivono numerose fazioni palestinesi che non hanno una piattaforma comune di dialogo, circolano anche armi e quest’estate ci sono stati scontri e morti a causa di queste divisioni interne. Il Comitato di cui faccio parte era stato costituito proprio per gestire questa emergenza».
«Prima della guerra - prosegue Viola - si lavorava sui diritti dei rifugiati palestinesi a cui non è consentito prendere qui residenza o diventare proprietari della terra, perché ciò comprometterebbe il ritorno in una Palestina liberata. Ma ormai sono 75 anni che sono in questa situazione... Lo scopo della mediazione è elaborare leggi che possano permettere l’assegnazione di una terra e garantire ai palestinesi il diritto alla sicurezza. Si cercava di concordare un testo di legge che potesse migliorare la loro vita qui».
«Questo era il progetto prima del 7 ottobre - sospira Viola -, ora abbiamo assunto un ruolo più di ricerca e il nostro presidente di Comitato ha avviato un dialogo con vari membri del parlamento libanese e con i partiti. Ogni giorno facciamo incontri per capire l’evoluzione della situazione e come procedono i processi di pace. In concreto, si discute con gli intermediatori e con gli ambasciatori. Noi raccogliamo ciò che emerge, facciamo analisi e report per favorire un possibile dialogo. Io personalmente sto lavorando in due unità: una di ricerca e una più giuridica sul lato dei diritti dei palestinesi».
«Anche i libanesi hanno sofferto moltissimo. Prima la guerra civile nel 2006, poi la rivoluzione del 2019, e ancora la recente esplosione nel porto di Beirut nel 2020. Le persone sono stanche, senti un grande senso di pesantezza intorno a te, i libanesi vorrebbero continuare la loro vita».
Non mi sento in pericolo
«Però non mi sento in pericolo - rassicura Viola -. Quando sono venuta a casa, lo scorso Natale, sono rimasta sorpresa da come venivano date certe notizie e ho capito la preoccupazione dei miei genitori, ma qui la percezione è molto differente, la vita va avanti nella ricerca di normalità».
«Il momento più difficile è stato il 17 ottobre - racconta Viola - il giorno in cui hanno attaccato un ospedale a Gaza e sono morte cinquecento persone. Ero con gli amici in un locale, ci siamo messi tutti a piangere e quella notte siamo andati a una dimostrazione all’ambasciata francese. Il giorno dopo abbiamo raggiunto l’ambasciata americana fuori Beirut. Qui la situazione era davvero drammatica: abbiamo visto persone svenute, feriti, lanci di lacrimogeni, incendi, gente che correva in ogni direzione».
Viola però è fiduciosa e determinata. Lavorerà a Beirut fino a maggio, poi andrà a Parigi per un master in sicurezza internazionale.
«La mia generazione ha comunque speranza, non abbiamo paura di affrontare chi ha autorità e di dire quello che pensiamo. Nel futuro mi vedo tornare in Medio oriente e lavorare per la risoluzione dei conflitti».
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