Il ricordo di don Aldo Fortunato, fondatore di Arca. «Era un amico degli ultimi, ci ha guidato come un padre»

Testimonianze Nelle voci di chi ce l’ha fatta il ricordo di un uomo speciale «Ci ha consigliato, ci ha aiutato e ci ha fatto vedere le cose belle della vita»

«Quando penso a don Aldo, faccio un sorriso. Verso di lui ho un senso di riconoscenza infinita, è stato come un padre nel periodo all’Arca».

Fabrizio, così lo chiameremo per garantirgli l’anonimato, ha toccato il fondo ma ha avuto la forza di rialzarsi, anche grazie a don Aldo Fortunato. Il sacerdote ha fatto molto per lui, gli ha dato l’opportunità di ricostruirsi un futuro e, anche ora che non c’è più, Fabrizio non può fare a meno di dedicargli un pensiero. L’uomo è tornato all’Arca ma, questa volta, come volontario per dare una mano a chi sta vivendo le stesse difficolta che ha affrontato lui anni fa.

«Don Aldo era fisicamente presente in Cappelletta ed è diventato il nostro papà – racconta Fabrizio -. Ci ha guidato, ci ha aiutato e ci ha fatto vedere le cose belle della vita. Era un uomo che si dedicava agli ultimi. È sempre stato un mio desiderio ricambiare l’aiuto ricevuto, ecco perché da tre anni sono contento di fare volontariato, contraccambiando quanto mi è stato dato quando avevo bisogno io. In primis per una forma di riconoscenza nei confronti di don Aldo: sembrava che non sapesse niente di noi ma, in realtà, diceva due parole e aveva fotografato i lati su cui lavorare per rimetterci in carreggiata e stare in piedi nella società. Non si può prescindere dal desiderio di uscire fuori da una vita sbagliata; per le persone che entrano non convinte in comunità è difficile, anche se non impossibile, tener duro». Cosa che lui è riuscito a fare. «Chi ha toccato il fondo, sa di essere all’ultima spiaggia e di aver bisogno di aiuto – aggiunge Fabrizio - non bisogna chiudersi nelle proprie certezze e arroganze; lasciandosi guidare da persone preparate che hanno studiato, si ha la possibilità di fare un percorso di introspezione importare di cui tantissima gente avrebbe bisogno. Ci sono momenti difficili che obbligano a guardare dentro sé stessi, lì si impara che è sempre meglio riflettere e mettersi in discussione: don Aldo ci ha insegnato questo. Ci preparava e poi ci invitava a cercare la nostra strada. Ha messo in piedi una comunità come ce ne sono poche: si facevano corsi di montagna, arrampicata, teatro, storia dell’arte. Ci diceva di cercare le cose belle della vita che poi ci avrebbero tenuto in piedi. Sviluppare gli interessi è molto importante».

E conclude: «Ci sono altre strutture, ma nemmeno parenti lontane della qualità dell’Arca. Io sono contentissimo di poter fare qualcosa per sdebitarmi per tutto quello che don Aldo ha fatto per me, oltre alla soddisfazione che ti regala il volontariato».

«Per me, come tutti quelli che sono passati dall’Arca e ce l’hanno fatta, don Aldo è stata la salvezza – aggiunge anche Davide, entrato in comunità poco dopo Fabrizio -. Senza di lui, le alternative non erano molte. Io venivo da Milano, ho seguito tutto il percorso completo, è stata la svolta della mia vita. Di lui ricordo tutto, la sua determinazione nel portare avanti le cose, il suo essere fuori dal coro: era prima di tutto interessato a portare avanti la comunità e dava l’anima, si circondava di persone che fossero capaci di puntare come lui in alto e anche agli utenti era capace di trasmettere il fatto di non accontentarsi, ma cercare il bello in senso generale. Era sempre circondato da collaboratori di grande qualità. Quando ho finito il percorso, ho iniziato a lavorare in una comunità per ragazzi con problemi, poi sono tornato qui come aiuto operatore. Un’ancora di salvezza, questo è stato don Aldo Fortunato».

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