Il vescovo ucraino in visita a Como: «La mia Kharkiv soffre e perde speranza»

L’intervista Il vescovo della città ucraina sul fronte di guerra è stato ospitato da volontari e Diocesi

Mentre si trova a Como, il vescovo ucraino della chiesa greco-cattolica, Vasily Tychapets, pensa già al momento in cui farà ritorno a casa, a Kharkiv. Ed è forse inevitabile che sia così se casa è un concetto incerto, in balia dell’andamento della guerra lungo il fronte che separa l’esercito ucraino da quello russo. Kharkiv, la seconda città più popolosa dell’Ucraina, si trova lì, ma la sua condizione nel corso del tempo, dall’invasione russa del 24 febbraio 2022 a oggi, è cambiata.

Uno dei primi centri urbani di grandi dimensioni a essere preso di mira dalla Russia, oggi i cittadini Kharkiv, dopo essersi abituati ai bombardamenti, agli inverni senza riscaldamento per via degli attacchi alle infrastrutture energetiche e alla morte oscillano tra la speranza e la paura che anche la speranza possa finire.«Sto viaggiando in Europa per ringraziare chi sta aiutando la mia comunità, ma questi ringraziamenti non possono fermare la guerra, anche se continuassi a viaggiare per tutto l’anno per dire grazie e per raccogliere altri aiuti» spiega il vescovo, seduto su un divano grigio in una stanza del Seminario vescovile di Como, dove è stato invitato dai volontari comaschi di Frontiere di Pace che proprio a Kharkiv portano avanti da due anni missioni umanitarie. I suoi occhi fissano quelli di Markian Pankiv, seminarista ucraino, nato a Kharkiv, e oggi studente di teologia a Roma, mentre quest’ultimo lo aiuta nella traduzione.«Nella nostra città - e così dicendo il vescovo abbraccia anche Markian con lo sguardo - stiamo vivendo una terza fase della guerra. Sono state tutte difficili, ma in modo diverso».

La prima fase ha visto l’esercito russo alle porte della città e tra le sue vie, la seconda è stata caratterizzata da un breve ma tesissimo periodo di pace, fasullo perché subito soppiantato dalle bombe che oggi, nella terza fase, colpiscono senza sosta edifici e abitanti. «La città ora è piena di rifugiati, molte famiglie che vivevano nell’est del Paese e le cui città sono state occupate trovano rifugio da noi».

Per le vie di Kharkiv la paura pesa su tutto, così tanto da spingere le persone a cercare sostegno ovunque. «Non è una città molto religiosa la nostra - confessa il vescovo - ma negli ultimi due anni ho visto diversi atei entrare in chiesa e avvicinarsi alla nostra comunità: i sacerdoti sono sempre al fianco del popolo, tramite i gesti concreti comunicano che la Chiesa non è morta. Insieme speriamo che la fine arrivi, presto».

Ma l’attesa è costellata di tragedie. Le bombe che sempre più frequentemente colpiscono la città si portano via pezzi di quotidianità e vite umane. Sono queste ultime perdite naturalmente le più difficili da accettare, come nel caso della piccola Maria. È lei la prima cui il vescovo Tychapets pensa quando cerca di ricostruire gli eventi più gravosi degli ultimi due anni. «Aveva dodici anni e, con tutta la sua famiglia, partecipava spesso alle attività della comunità. La sua na famiglia molto attiva, sempre pronta a dare una mano con gli aiuti umanitari ma anche, semplicemente, a collaborare nella celebrazione della messa. La ricordo insieme alla mamma Irene... sono morte entrambe». Il dolore negli occhi azzurri del vescovo Tychapets è tangibile, mentre racconta: «Ricordo la data: il 25 maggio di quest’anno. La piccola Maria aveva appena finito la scuola e superato gli esami. Per i nostri ragazzi è sempre più difficile avere un’istruzione adeguata, perché per motivi di sicurezza devono seguire le lezioni a distanza o nei bunker, ma Maria aveva concluso brillantemente questo ciclo. Era primo pomeriggio e si trovava con la famiglia in un negozio, dovevano comprare dei pezzi di ricambio per un rubinetto. Tre bombe sono piombate sul negozio, attraversandolo da parete a parete. Il papà di Maria era lì, con lei e mamma Irene, le ha viste bruciare vive. Insieme a loro sono morte altre venti persone». Un vero e proprio choc per la comunità greco cattolica di Kharkiv che con Maria ha perso anche un pezzo importante di speranza nel futuro, quello cui tutti i bambini della sua età dovrebbero avere diritto. Per sostenere i coetanei di Maria e le loro famiglie la comunità di Kharkiv sta costruendo una nuova scuola sotterranea.

«I nostri giovani ora hanno il fuoco negli occhi - conclude - vanno in guerra e sentono che per loro qualcosa di fondamentale è cambiato: stanno perdendo la speranza nel futuro. Prego ogni giorno Dio perché li sostenga e ci dia quella speranza che solo in lui possiamo trovare. E chiedo anche a voi, da Como, di pregare con me».

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