Intervista al ministro Alessandra Locatelli: «I disabili sono una risorsa, via le barriere culturali»

Esclusiva Il ministro alla Disabilità, la comasca Alessandra Locatelli, in visita a La Provincia parla ai lettori di Diogene: «Dobbiamo ascoltare di più il mondo del Terzo settore e lavorare insieme per città più inclusive e libere»

Inclusione, lavoro, autonomia, dopo di noi, abbattimento delle barriere architettoniche e culturali, coprogettazione con il Terzo settore. Il ministero per la Disabilità Alessandra Locatelli ha fatto visita al nostro quotidiano, ed ha accettato di confrontarsi con Diogene sui temi della fragilità e della tutela delle persone disabili.

Perché il nostro Paese ha bisogno di un ministero per la disabilità? Siamo così indietro nei diritti per i disabili?

In effetti mi auguro che tra qualche anno non ci sia più bisogno del mio ruolo, perché vorrebbe dire aver raggiunto una consapevolezza diffusa a tutti i livelli istituzionali sulla condivisione dei temi che riguardano la disabilità, e quindi inclusione, accessibilità, diritti. A cominciare dal fatto che sui territori, quando si progetta, bisogna farlo per tutti e non soltanto per una parte della popolazione.

Nel corso della campagna elettorale per le comunali a Como, le associazioni che si occupano di disabilità hanno fatto una richiesta chiara: coinvolgeteci nella programmazione delle future strutture pubbliche, siano esse sportive oppure istituzionali. È davvero così difficile prevederlo, per evitare di realizzare edifici inutilizzabili da una parte dei cittadini?

Quando sono arrivata in Regione ho fatto inserire, nelle linee guide dei piani di zona, il confronto continuo e costante con tutti gli enti del terzo settore del territorio per fare con loro coprogrammazione e coprogettazione, che non vuol dire limitarsi ai bandi, ma anche agli aspetti pratici. Sicuramente questo è uno step che si dovrà raggiungere con i singoli assessori e i singoli ministri che si occupano di aree diverse. Bisogna aumentare la consapevolezza circa la condivisione di strategie che rendano accessibili a tutti servizi e strutture.

Auto lasciate sui marciapiedi o sugli attraversamenti pedonali, parcheggi disabili occupati da non autorizzati o, peggio, da finti disabili che sfruttano i tagliandi altrui… siamo un Paese culturalmente arretrato sul fronte del rispetto degli altri e, in particolare, dei più deboli?

Indubbiamente le istituzioni hanno una grande responsabilità nell’applicazione e l’implementazione delle norme sul rispetto dei diritti dei più deboli. Ma è anche chiaro che dovrebbe esserci la sensibilità di tutti per rispettare gli altri, la legge non basta. Deve aumentare la sensibilità e l’attenzione verso i più fragili. Senza nulla togliere alle responsabilità della politica, mi spiace che spesso non ci sia la collaborazione di tutti i cittadini.

Magari sarebbe utile partire dalla scuola con azioni di sensibilità sul tema...

Certo, infatti ci sono dei percorsi dedicati. Lo fanno le associazioni, e su alcuni temi complessi tipo violenza sulle donne e cyber bullismo si parte fin dai più piccoli. Alcune scuole, poi, organizzano testimonianze e incontri e ci sono lezioni finanziate che comprendono anche i temi sulla disabilità.

Torniamo al tema della progettazione. Spesso le amministrazioni locali quando ripensano la struttura urbanistica delle loro città ignorano o sottovalutano il problema delle barriere architettoniche. Quali strumenti legislativi si possono mettere in campo per prevedere un futuro a misura di tutti?

È vero: le barriere architettoniche sono un problema ormai storico, ma la prospettiva verso cui si lavora è quella dell’accessibiltà universale: alla cultura, alla comunicazione, al turismo, allo sport. Noi dobbiamo fare in modo di rimuovere le barriere sia fisiche che culturali. Dopotutto le leggi sulle barriere architettoniche ci sono dall’86. Regione Lombardia aveva stanziato diverse risorse per i comuni più piccoli, assicurando fino a 5mila euro per l’elaborazione del piano di abbattimento delle barriere. Da lì poi a chi ha realizzato il piano fino a 50mila euro per abbattere le barriere. Purtroppo siamo ancora lontani: soltanto il 5% dei comuni italiani hanno un Peba (il Piano per l’eliminazione delle barriere architettonico).

Barriere fisiche e, diceva, barriere culturali. Come siamo messi con i percorsi di inserimento lavorativo delle persone con disabilità?

Questo è un tema che mi sta molto a cuore, perché quello su cui noi dobbiamo lavorare è fare in modo che tutti possano avere una vita dignitosa, partecipata, autonoma e indipendente. Oltre alla libertà di potersi muovere, il lavoro è quello che qualifica e identifica maggiormente le nostre vite, e lo dice la Costituzione. Dobbiamo fare di più per costruire percorsi di inserimento lavorativo validi. Passi avanti ne sono stati fatti, ma la legge 68 è vecchia e va adeguata ai tempi che corrono.

In che modo?

Anche qui, è cambiata la prospettiva. All’epoca era: troviamo qualcosa da far fare alle persone più fragili. Oggi ora è: ogni persona è portatrice di talento e di competenze e tutti possono dare una mano. Questo è il frutto di un percorso di strategie vincenti messe in campo negli anni e che oggi hanno bisogno di essere consolidate. Il nostro compito è quello di valorizzare queste esperienze. Quindi non più solo accompagnamento nel mondo del lavoro, con la legge 68 che prevede che un posto ogni 15 nelle aziende sia dedicato alle persone disabili che lì devono lavorare e restare. Piuttosto c’è bisogno di un accompagnamento per evitare i fallimenti e per rendere l’esperienza lavorativa un successo per tutti. Ci sono tanti ottimi esempi anche nel territorio comasco, ad esempio Il Seme..

Il tema del lavoro introduce un’altra questione molto sentita dalle famiglie: quella del “dopo di noi”...

È una preoccupazione più che comprensibile, ma quello che chiedono i genitori non è tanto un “dopo di noi”, ma che il “dopo di noi” inizi già “durante noi”. Anche qui serve una forma di accompagnamento delle famiglie. Non è sempre facile lasciare andare un figlio in un percorso di autonomia. La norma 112 ci garantisce una serie di possibilità che devono essere ampliate. Regione Lombardia ha attivato, ad esempio, la sperimentazione di un percorso di autonomia sull’autismo. Certo, la legge 112, che è una norma molto importante, ha dei limiti e va rinnovata. Anche alla luce dei progetti attivati sul territorio e che hanno avuto successo.

Nella manovra finanziaria, il governo non è stato un po’ avaro di risorse per la disabilità?

Siamo in un contesto difficile e la maggior parte delle risorse è stata dedicata al caro bollette; ma nella manovra c’è grande attenzione alle fasce più deboli e alle persone che hanno un famigliare con fragilità sia per mantenere il reddito di cittadinanza, sia per ristrutturare l’assegno famigliare. Inoltre è stato introdotto un fondo sperimentale che verrà investito, in particolare, nelle città con più di 300mila abitanti per le periferie inclusive. Purtroppo il rischio di povertà sta colpendo soprattutto quelle famiglie che hanno in carico persone con disabilità e questo avviene in particolare nelle periferie più degradate, dove per fortuna operano associazioni in grado di creare opportunità e servizi in supporto. Con l’Anci, il Csv, il Forum del Terzo settore stiamo facendo rete per creare circoli virtuosi proprio partendo dalla disabilità per migliorare contesti e servizi.

Infine, ministro: quel è il suo parere sul mondo Comasco del terzo settore?

È un mondo molto attivo in tanti settori diversi e molto vario. Ci sono associazioni di promozione sociale, onlus, di volontariato, imprese sociali. Penso però abbia ragione il cardinale Cantoni nel dire che servirebbe una maggior rete anche di ambiti diversi, perché il la rete e il cooperare danno la possibilità di crescere e moltiplicare il valore investito nei servizi. Ma credo che si possa fare di più. Anche perché questa è una provincia dove i giovani si danno molto da fare. Ed è una risorsa che non possiamo sprecare.

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